Non credo molto alle classifiche, tanto meno ai sondaggi. Spesso sono incompleti, e basta girare la frittata per capovolgere i risultati. Che significato abbia farlo per i vini, rimane un mistero. O, forse, è solo un divertissement per addetti ai lavori che traggono vantaggi commerciali fortemente lucrativi. Per i ristoranti, le taverne, le osterie- e ovunque ci sia da mangiare o da bere- gaudenti giornalisti (invitati a pranzo o anonimi avventori?) si prestano a tessere gli elogi o a distruggere un locale radendo al suolo le certezze che quel gestore o quel proprietario hanno, via via nel tempo, visto crescere in loro con una intensa abnegazione al lavoro e una buona dose di presuntusistica superiorità. Tuttavia lo scrittore, si sa, dovrebbe essere sincero nel commento e libero da vincoli di qualsiasi tipo, finanche economici, con l'azienda che si appresta a recensire, affinché il giudizio finale possa essere di fattiva utilità per il consumatore. Ma è davvero così?
Quanti credono alla valutazione oggettiva in Italia? Sì, sulla carta, è bello immaginare il quadretto romantico dei prati verdi e delle colline in fiore, alla fine, nei fatti chi si toglie dalla mente lo spettro della mafia, del "tanto fanno/sono tutti così" e "il mondo è dei furbi, dunque freghiamo il prossimo", degli esami pilotati, del professionista poco serio che si vende per un piatto (è il caso di dirlo) di lenticchie? Il torbido avanza sempre...
Laddove esistesse un discernimento oggettivo del redattore di una guida dei vini, le variabili sono talmente numerose che bisognerebbe incrociare i dati in un conteggio matematico complicato, noioso ed inutile per ottenere un risultato accettabile, senza contare che le classifiche spesso distinguono i vini rossi dai bianchi, i brut dai moscati, qualità da quantità, territorio, storia e tradizioni. In definitiva, per il vero conoscitore, sempre alla ricerca della verità delle cose, l'esame risulterebbe incompleto. L'inesperto si accontenta e accetta come oro colato la prima perla di saggezza che gli viene buttata addosso. Il competente in materia non viene soddisfatto dalla top ten.
La superclassifica dei 100 supervini italiani del 2012, nel frammento di immagine dei primi 20 (in foto) che mi è balzata agli occhi, riporta al primo posto, non solo un vino pugliese -dunque della regione delle mie origini- ma proprio un nettare che io ho nel cuore da molto tempo: il Primitivo di Manduria.
Qualche anno fa un mio carissimo amico, Nicola, mi portò da Bari una damigianella da 5 litri di un vino, il Primitivo appunto, di un color rosso intenso, sanguigno, denso, di una consistente fluidità, eppure dalle tonalità vivaci e accese, un liquido che mi ricordava a tratti il novello, ma anche un prodotto biologico, giovane: una spremuta d'uva. Nicola mi disse in quell'occasione che un jus con quelle caratteristiche, nella sua terra, veniva definito "fruttato", a 16° e, dunque, non commercializzabile nei negozi. Gli spiegai (in un dialogo tra sordomuti, in cui ognuno porta l'acqua al suo mulino e vuole avere ragione della propria tesi) che al nord quel termine rivestiva un diverso campo semantico. Ma non ci fu verso di fargli cambiare idea, come mille altre volte successe; forse, pensai, hanno sempre avuto ragione i latini: "In medio stat virtus", stiamoci zitti...
Il profumo intensamente vinoso che tuttavia ricordava la confettura di lamponi, more e mirtilli, cedeva il passo ad un sapore piacevolmente abboccato, come invece lo definivo io. Non propriamente adatto alle portate da fine pasto, ma neppure agli arrosti di maiale, il giorno dell'arrivo del mio amico, il suo dono ben si sposò con dei tranci di focaccia alle cipolle e pizza rossa comprata alla panetteria (cara come una gioielleria) dell'8 Gallery. Ricordo solo che dopo il secondo bicchiere colmo crollai in un piacevole sonno riparatore. Silenziosamente il vino continuava a fermentare in pancia...
Per tornare alla nostra graduatoria è da notare come la Toscana sia presente con ben 12 vini, 4 l'Abruzzo, l'Umbria con 2 nei primi 6 posti, Piemonte, Campania, Basilicata e Sardegna.
Quanti credono alla valutazione oggettiva in Italia? Sì, sulla carta, è bello immaginare il quadretto romantico dei prati verdi e delle colline in fiore, alla fine, nei fatti chi si toglie dalla mente lo spettro della mafia, del "tanto fanno/sono tutti così" e "il mondo è dei furbi, dunque freghiamo il prossimo", degli esami pilotati, del professionista poco serio che si vende per un piatto (è il caso di dirlo) di lenticchie? Il torbido avanza sempre...
Laddove esistesse un discernimento oggettivo del redattore di una guida dei vini, le variabili sono talmente numerose che bisognerebbe incrociare i dati in un conteggio matematico complicato, noioso ed inutile per ottenere un risultato accettabile, senza contare che le classifiche spesso distinguono i vini rossi dai bianchi, i brut dai moscati, qualità da quantità, territorio, storia e tradizioni. In definitiva, per il vero conoscitore, sempre alla ricerca della verità delle cose, l'esame risulterebbe incompleto. L'inesperto si accontenta e accetta come oro colato la prima perla di saggezza che gli viene buttata addosso. Il competente in materia non viene soddisfatto dalla top ten.
La superclassifica dei 100 supervini italiani del 2012, nel frammento di immagine dei primi 20 (in foto) che mi è balzata agli occhi, riporta al primo posto, non solo un vino pugliese -dunque della regione delle mie origini- ma proprio un nettare che io ho nel cuore da molto tempo: il Primitivo di Manduria.
Qualche anno fa un mio carissimo amico, Nicola, mi portò da Bari una damigianella da 5 litri di un vino, il Primitivo appunto, di un color rosso intenso, sanguigno, denso, di una consistente fluidità, eppure dalle tonalità vivaci e accese, un liquido che mi ricordava a tratti il novello, ma anche un prodotto biologico, giovane: una spremuta d'uva. Nicola mi disse in quell'occasione che un jus con quelle caratteristiche, nella sua terra, veniva definito "fruttato", a 16° e, dunque, non commercializzabile nei negozi. Gli spiegai (in un dialogo tra sordomuti, in cui ognuno porta l'acqua al suo mulino e vuole avere ragione della propria tesi) che al nord quel termine rivestiva un diverso campo semantico. Ma non ci fu verso di fargli cambiare idea, come mille altre volte successe; forse, pensai, hanno sempre avuto ragione i latini: "In medio stat virtus", stiamoci zitti...
Il profumo intensamente vinoso che tuttavia ricordava la confettura di lamponi, more e mirtilli, cedeva il passo ad un sapore piacevolmente abboccato, come invece lo definivo io. Non propriamente adatto alle portate da fine pasto, ma neppure agli arrosti di maiale, il giorno dell'arrivo del mio amico, il suo dono ben si sposò con dei tranci di focaccia alle cipolle e pizza rossa comprata alla panetteria (cara come una gioielleria) dell'8 Gallery. Ricordo solo che dopo il secondo bicchiere colmo crollai in un piacevole sonno riparatore. Silenziosamente il vino continuava a fermentare in pancia...
Per tornare alla nostra graduatoria è da notare come la Toscana sia presente con ben 12 vini, 4 l'Abruzzo, l'Umbria con 2 nei primi 6 posti, Piemonte, Campania, Basilicata e Sardegna.
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