Oggi è stato rieletto per la seconda volta il 12° Presidente della Repubblica: Giorgio Napolitano
Non era mai successo nella storia della nostra nazione.
Consultare l'elenco dei presidenti su: http://it.wikipedia.org/wiki/Presidenti_della_Repubblica_Italiana
E in tutta fretta. In Italia si invoca spesso la straordinarietà del momento e l'urgenza per salvare il paese quando si devono fare magagne ai margini della legalità, ma non si era mai arrivato a tanto. Almeno, dal '45 ad oggi.
Sono stato il primo a gridare al golpe ieri, tranne poi verificare, da un sondaggio de "L'Espresso", che non ero il solo.
Ovviamente è un termine forte, esagerato, che verrà strumentalizzato dai mezzi di informazione nei prossimi giorni e che spiegheranno con tutti gli esponenti politici riuniti in coro che è stato fatto in maniera democratica e che chi inneggia al "colpo di Stato" è un eversivo irresponsabile proprio in un momento così grave e delicato per il Belpaese, bla bla bla...Da noi non avviene un ribaltamento della democrazia con le armi o con la forza militare: sarebbe troppo rischioso e il popolo capirebbe immediatamente, fino ad avere un moto di ribellione. Si preferisce una dittatura morbida in cui i vecchi oligarchi, appoggiati dai nuovi eletti in Parlamento, mantengono (e fanno mantenere) i privilegi di sempre. Un"colpettino" di Stato, un gesto leggero, spiegabile a quei cittadini che accettano tutte le scelte che vengono loro proprinate, che per un motivo o per l'altro non si interessano molto, che delegano, che non partecipano attivamente alla vita politica: gli "indivanados", come vengono ironicamente chiamati i nostri "indignados", comodamente seduti sul sofà, telecomando alla mano e televisione accesa; quelle persone narcotizzate dal tubo catodico, troppo pigre per scollarsi dal divano, accendere un pc ed informarsi in rete, o semplicemente perché, magari, dopo una giornata di duro lavoro alienante, giustamente, non si ha molta voglia di farlo. Una vita depressa -un cane che si morde la coda- ci si indigna e ci si arrabia, ma non si sa per cosa.
La casta si autoalimenta, vive di se stessa, fa di tutto per non scomparire; il sistema reagisce agli attacchi del M5S e di quei cittadini stanchi ormai di fare sacrifici per tirare avanti mentre un nugolo di privilegiati, non solo appartenenti direttamente alla classe politica a dire il vero, diventa sempre più arrogante e presuntuoso. Con l'ausilio di giornali e televisioni compiacenti. La casta non è solo quella politica, ma sopravvive grazie e soprattutto a quella giornalistica. Se siamo 57°, tra il Botswana e Niger, nella classifica della libertà di stampa, un motivo ci sarà. Appoggia questo sistema perché ne fa prepotentemente parte. Morto questo, fallirebbe di conseguenza.
E' anche molto semplice smascherare questo teatrino: si fa finta di criticare, di dare giudizi, di essere liberi e di esprimere automamente una critica, ma si rimane sempre sulla superficie. Non ci si addentra quasi mai nella sostanza. Così fanno i politici nei talk show; si azzuffano fintamente in scaramucce patetiche in cui dimostrano di avere idee differenti e progetti alternativi per salvare il paese, riempiendosi la bocca di paroloni come solidarietà, giustizia, uguaglianza e, non ultima, libertà. In malafede.
Golpettini dicevamo, piccoli gesti al limite della democrazia. Non contro la democrazia. Al limite. In maniera che la realtà si possa giudicare da due versanti differenti, fintamente opposti, fare il talk show appunto, contrapporsi in fazioni. Da sempre. Non ci siamo mai ripresi. Siamo rimasti comodamente un paese medievale: vassalli, valvassori, valvassini e servi della gleba. Il rosso e il nero. Guelfi e Ghibellini. Da tifoseria calcistica. In cui tutto sfuma incomprensibilmente. La verità non interessa più a nessuno e la memoria è corta.
Il Vaticano, non manca mai, viene in aiuto in extremis per salvare l'Italia (in questo caso un paese straniero che dà l'estrema unzione ad un altro...) e convince Monti, Bersani, Berlusconi (se anche Silvio diventa un suo tifoso ci sarà un perché) e Maroni a salire al Colle e convincere Napolitano che nel giro di pochissime ore, accetta.
Ma cosa aveva detto circa una settimana prima?
“Farmi rieleggere? Una non soluzione”
Il trasloco dal Colle di Napolitano. L’ultima domenica da presidente
tra scatoloni e riflessioni sul futuro
MARIO CALABRESI
Gli scatoloni con le carte, la corrispondenza e i libri, i tantissimi libri di cui Giorgio Napolitano si circonda e che ama annotare e tenere sulla scrivania, sono già partiti verso la prossima destinazione: lo studio a Palazzo Giustiniani, casa dei senatori a vita, dei presidenti emeriti della Repubblica.
Un trasloco definitivo, senza possibilità di ritorni, mentre già escono volumi che tentano un bilancio del settennato.
Eppure le pressioni si moltiplicano in queste ore per cercare di convincere il Capo dello Stato ad accettare un prolungamento, a restare al suo posto ancora per un anno o due. Richieste che vengono risolutamente rispedite al mittente: «Ora ci vuole il coraggio di fare delle scelte, di guardare avanti, sarebbe sbagliato fare marcia indietro».
Nonostante i faccia a faccia di questa settimana i partiti non riescono a trovare un nome, a identificare una figura credibile, e di garanzia per tutti, che possa sedere al Quirinale per i prossimi sette anni, così si cerca una soluzione di comodo, che l’attuale inquilino però rifugge come «una non soluzione».
In un Paese in cui nessuno vorrebbe lasciare la poltrona Napolitano invece si ritrae, invita a non attribuire «valenze salvifiche» alla sua persona e anzi vive con ansia, quasi con angustia, le continue pressioni. Pressioni che non accetta, specie se accompagnate da una sorta di richiamo a un dovere morale. Il Presidente è certamente grato per tutti i riconoscimenti che gli vengono tributati ma considera il mandato concluso - «tutto quello che avevo da dare ho dato» ripete - anche perché conosce perfettamente la fatica del ruolo, sente il peso degli sforzi fatti e ricorda che a giugno compirà 88 anni.
Per chi ha lavorato per cercare di fare dell’Italia un Paese normale è incomprensibile che non si possa dare una successione ordinata a una scadenza istituzionale prevista, come se non ci fosse nessuno idoneo al compito. C’è poi un’allergia alle «soluzioni pasticciate», a quelle che all’estero definirebbero immediatamente «soluzioni all’italiana», cioè a inventare un prolungamento non previsto dalla Costituzione. Il mandato è di sette anni, ma vale la pena raccontare come siano stati in molti a prospettare una rielezione per un tempo più breve, lasciando all’inquilino del Colle la libertà di decidere poi quando dimettersi. Non è mai successo nella storia della nostra Repubblica e Napolitano non intende certo rompere la regola, ma i più tenaci non demordono sottolineando che viviamo tempi particolari in cui perfino un Papa ha dato le dimissioni in anticipo. «Ma è un esempio che non calza per nulla - ha replicato il Presidente –, perché per un papa non esiste scadenza e così nemmeno anticipo», mentre qui tutto è codificato con chiarezza.
Non basta, ci sono ragioni di principio, di linearità e probabilmente non mancherà anche quel filo di amarezza per non essere stato ascoltato alla fine della scorsa legislatura, quando ha sollecitato mille volte i partiti a non buttare via le intese sulle riforme e a cambiare la legge elettorale. Se gli avessero dato ascolto oggi la situazione sarebbe di certo meno ingarbugliata e difficile.
Così siamo arrivati all’ultima domenica al Quirinale per Giorgio Napolitano, il prossimo fine settimana potrebbe essere già stato eletto il suo successore, nel congedo non ci sono rimpianti perché a prevalere è la convinzione di aver fatto tutto il possibile per tenere in piedi il Paese: il lavoro dei saggi è stato il tentativo «di dare una conclusione seria» al percorso nel momento in cui ci si è trovati di fronte a un muro.
Il Presidente va via senza che si sia formato un nuovo governo, con un termine di mandato «particolarmente impegnativo e faticoso» perché due giri di consultazioni hanno sempre dato lo stesso risultato, confermando posizioni inconciliabili, e perché mandare Bersani davanti alle Camere senza la garanzia di una fiducia sarebbe stato non solo un rischio troppo grande ma anche un azzardo che qualcuno non avrebbe esitato a definire un golpe.
L’alternativa di un governo del Presidente, una soluzione simile a quella trovata nel novembre del 2011 con Monti per evitare una precipitazione drammatica, oggi non è più possibile. Tutto è cambiato, non c’è più un Mario Monti dietro l’angolo e forse l’unica cosa su cui tutti, ma proprio tutti – da Grillo a Berlusconi, da Monti a Bersani - sono stati d’accordo nei colloqui al Quirinale è che ci vuole un governo politico con un eletto a guidare il governo.
Il Presidente ha sotto gli occhi il film dell’ultimo mese e resta convinto che i saggi siano «stati l’ultimo contributo possibile», un contributo che «non andrebbe buttato via» perché ha dimostrato che un dialogo è possibile anche tra persone molto diverse tra loro, che «esistono occasioni di collaborazione» che andrebbero colte al volo. Ma certi processi politici non possono essere imposti da nessun Presidente, spetta ai partiti decidere se collaborare e in che forme e ora toccherà al successore di Napolitano riprendere il filo e trarre le conclusioni di questa fase convulsa.
Al successore, non più a lui, che ora chiede solo di essere protetto da pressioni indebite e ripete di non essere disponibile a soluzioni di comodo apparentemente facili ma poi confuse e pasticciate.
Per la politica è il tempo di avere coraggio, di prendere responsabilità e scegliere. Per Giorgio Napolitano è il tempo del commiato, del ritorno alle aule parlamentari, ai libri, alla musica classica e alla vita privata.
E’ già tutto pronto, tutto è stato ordinato, catalogato e trasferito, restare o peggio tornare indietro «sarebbe ai limiti del ridicolo».
Il dietrofront più veloce della Storia. Un atto inconsueto. Incoerente.
Giorgio Napolitano non è il mio Presidente della Repubblica, sappiatelo.
Non mi sono chiari troppi passaggi, è tutto troppo torbido per me. Illuminiamoci attraverso la Costituzione italiana, vediamo cosa dice l'artico 84, in merito:
"L'ufficio di Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica".
L'articolo 85:
Se le Camere sono sciolte, o manca meno di tre mesi alla loro cessazione, la elezione ha luogo entro quindici giorni dalla riunione delle Camere nuove. Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica".
Nella Carta costitutiva della nostra nazione vi è scritto espressamente "Nuovo". Io credo fermamente che lo scopo di questo aggettivo inserito in quel punto dai padri costituenti a garanzia di un ricambio, lo penso fortemente. Non è stato messo a caso, anzi ogni termine ha una sua importanza fondamentale. L'Italia usciva dopo un ventennio fascista e un passato monarchico durato 85 anni e si voleva evitare un periodo di "regno" troppo lungo. Un settennato era sufficiente a garantire il paese, non 14 anni. Alcuni chiamano Napolitano "re Giorgio", non a casa. Ha accettato per il bene del paese. Ad 88 anni. Tra 7 anni avrà 95 anni. Un presidente per il cambiamento. E' possibile che gli sia sfuggito questo aspetto, essendo egli il garante uscente della Costituzione? Difficile. Di sicuro è un gesto straordinario. Inedito. E' l'accanimento terapeutico, per arginare e combattere i cittanini all'interno delle istituzioni. Hanno paura che i loro scheletri nell'armadio vengano alla luce. Ma mi sa che è troppo tardi. Ormai 163 cittadini sono dentro il Parlamento. I partiti dovranno fare i salti mortali per nascondere gli inciuci.
Pur di non votare un presidente gradito al popolo, Rodotà, la casta partitica ha fatto i salti mortali con voli carpiati, senza spiegare peraltro perché un esponente storico della sinistra non andasse bene. Perché no Rodotà? Troppo laico? Non piace ai cattolici? Eccoli, di nuovo: i cattolici, la Chiesa, il Vaticano, il medioevo. Siamo sempre lì. Ma per le dimissioni di Ratzinger e l'elezione del nuovo papa Francesco, qualcuno ci ha interpellato? No. Allora perché questa forte ingerenza nella vita repubblicana? Sono quesiti difficilmente spiegabili con la logica. Forse con lo Spirito Santo...
Scollamento totale tra il popolo e gli eletti in Parlamento. Un presidente eletto col 54% al primo mandato, riceve oggi un vero plebiscito col 74%. Quando la paura fa novanta...
Non preoccupandosi se nessuno lo vuole, se tutti i giorni si suicida qualcuno, se la disuguaglianza sociale è sempre più accentuata.
Lontani sembrano gli echi delle parole di un amatissimo capo di Stato quale fu Pertini:
« Per me libertà e giustizia sociale, che poi sono le mete del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile: non vi può essere vera libertà senza la giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà. Ecco, se a me socialista offrissero la realizzazione della riforma più radicale di carattere sociale, ma privandomi della libertà, io la rifiuterei, non la potrei accettare. [...] Ma la libertà senza giustizia sociale può essere anche una conquista vana. Si può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha un lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero. [...] »
Di ben altro profilo i "nostri" vecchi politici: hanno governato insieme un anno, si sono scannati in campagna
elettorale ed ora inciuciano tra loro come se niente fosse.
E' inspiegabile, oltreché vergognoso. Sono scelte che vanno oltre l'umana immaginazione, oltre la normale logica, che non sia quella di poteri forti, più o meno occulti, più grandi di noi, che ci manovrano e ci fanno fare quello che vogliono loro. Magari con la parvenza che siamo noi a scegliere il nostro futuro.
Sono andati in quattro, dicevo, a "pregare" l'ex presidente di rimanere. Mancava il M5S (25% dell'Italia, circa 8 milioni di votanti).
Ma soprattutto mancava quel 25% di non votanti. Non nascondiamoci una cosa: un paese è medievale non per costrizioni esterne (almeno non solo...), ma per scelta diretta. Una nazione in cui l'analfabetismo è così elevato è più facile da governare, da tenere a bada. Ci sono tra questi "non-votanti" dei semianalfabeti che non sanno chi sia Napolitano, che non sanno cosa sia il Quirinale, che disconoscono la suddivisione del Parlamento in due camere, che ignorano il significato di Montecitorio e Palazzo Madama, che non conoscono i fondamentali articoli della Costituzione come punto di partenza per essere dei veri cittadini. Dei civis. Dei civili appunto, appartenenti alla comunità e non un peregrinus (lo straniero fuori città), o, come verrà chiamato successivamente, un barbaro.
L'analfabetismo è la condizione che più si avvicina a quella di animale.
Ps: Tra i tanti meriti di re Giorgio, ne veniamo a conoscenza nella puntata di Report del 21/04/'13, ha anche quello di aver nominato Bashar al Assad (dittatore siriano), al pranzo di Stato, Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran cordone al merito della Repubblica italiana. Benemerenza tolta nel 2010.
Un aspetto positivo questa vicenda la ha: risparmieremo sulle nuove foto negli uffici pubblici che non andranno cambiate...
Non era mai successo nella storia della nostra nazione.
Consultare l'elenco dei presidenti su: http://it.wikipedia.org/wiki/Presidenti_della_Repubblica_Italiana
E in tutta fretta. In Italia si invoca spesso la straordinarietà del momento e l'urgenza per salvare il paese quando si devono fare magagne ai margini della legalità, ma non si era mai arrivato a tanto. Almeno, dal '45 ad oggi.
Sono stato il primo a gridare al golpe ieri, tranne poi verificare, da un sondaggio de "L'Espresso", che non ero il solo.
Ovviamente è un termine forte, esagerato, che verrà strumentalizzato dai mezzi di informazione nei prossimi giorni e che spiegheranno con tutti gli esponenti politici riuniti in coro che è stato fatto in maniera democratica e che chi inneggia al "colpo di Stato" è un eversivo irresponsabile proprio in un momento così grave e delicato per il Belpaese, bla bla bla...Da noi non avviene un ribaltamento della democrazia con le armi o con la forza militare: sarebbe troppo rischioso e il popolo capirebbe immediatamente, fino ad avere un moto di ribellione. Si preferisce una dittatura morbida in cui i vecchi oligarchi, appoggiati dai nuovi eletti in Parlamento, mantengono (e fanno mantenere) i privilegi di sempre. Un"colpettino" di Stato, un gesto leggero, spiegabile a quei cittadini che accettano tutte le scelte che vengono loro proprinate, che per un motivo o per l'altro non si interessano molto, che delegano, che non partecipano attivamente alla vita politica: gli "indivanados", come vengono ironicamente chiamati i nostri "indignados", comodamente seduti sul sofà, telecomando alla mano e televisione accesa; quelle persone narcotizzate dal tubo catodico, troppo pigre per scollarsi dal divano, accendere un pc ed informarsi in rete, o semplicemente perché, magari, dopo una giornata di duro lavoro alienante, giustamente, non si ha molta voglia di farlo. Una vita depressa -un cane che si morde la coda- ci si indigna e ci si arrabia, ma non si sa per cosa.
La casta si autoalimenta, vive di se stessa, fa di tutto per non scomparire; il sistema reagisce agli attacchi del M5S e di quei cittadini stanchi ormai di fare sacrifici per tirare avanti mentre un nugolo di privilegiati, non solo appartenenti direttamente alla classe politica a dire il vero, diventa sempre più arrogante e presuntuoso. Con l'ausilio di giornali e televisioni compiacenti. La casta non è solo quella politica, ma sopravvive grazie e soprattutto a quella giornalistica. Se siamo 57°, tra il Botswana e Niger, nella classifica della libertà di stampa, un motivo ci sarà. Appoggia questo sistema perché ne fa prepotentemente parte. Morto questo, fallirebbe di conseguenza.
E' anche molto semplice smascherare questo teatrino: si fa finta di criticare, di dare giudizi, di essere liberi e di esprimere automamente una critica, ma si rimane sempre sulla superficie. Non ci si addentra quasi mai nella sostanza. Così fanno i politici nei talk show; si azzuffano fintamente in scaramucce patetiche in cui dimostrano di avere idee differenti e progetti alternativi per salvare il paese, riempiendosi la bocca di paroloni come solidarietà, giustizia, uguaglianza e, non ultima, libertà. In malafede.
Golpettini dicevamo, piccoli gesti al limite della democrazia. Non contro la democrazia. Al limite. In maniera che la realtà si possa giudicare da due versanti differenti, fintamente opposti, fare il talk show appunto, contrapporsi in fazioni. Da sempre. Non ci siamo mai ripresi. Siamo rimasti comodamente un paese medievale: vassalli, valvassori, valvassini e servi della gleba. Il rosso e il nero. Guelfi e Ghibellini. Da tifoseria calcistica. In cui tutto sfuma incomprensibilmente. La verità non interessa più a nessuno e la memoria è corta.
Il Vaticano, non manca mai, viene in aiuto in extremis per salvare l'Italia (in questo caso un paese straniero che dà l'estrema unzione ad un altro...) e convince Monti, Bersani, Berlusconi (se anche Silvio diventa un suo tifoso ci sarà un perché) e Maroni a salire al Colle e convincere Napolitano che nel giro di pochissime ore, accetta.
Ma cosa aveva detto circa una settimana prima?
“Farmi rieleggere? Una non soluzione”
Il trasloco dal Colle di Napolitano. L’ultima domenica da presidente
tra scatoloni e riflessioni sul futuro
MARIO CALABRESI
Gli scatoloni con le carte, la corrispondenza e i libri, i tantissimi libri di cui Giorgio Napolitano si circonda e che ama annotare e tenere sulla scrivania, sono già partiti verso la prossima destinazione: lo studio a Palazzo Giustiniani, casa dei senatori a vita, dei presidenti emeriti della Repubblica.
Un trasloco definitivo, senza possibilità di ritorni, mentre già escono volumi che tentano un bilancio del settennato.
Eppure le pressioni si moltiplicano in queste ore per cercare di convincere il Capo dello Stato ad accettare un prolungamento, a restare al suo posto ancora per un anno o due. Richieste che vengono risolutamente rispedite al mittente: «Ora ci vuole il coraggio di fare delle scelte, di guardare avanti, sarebbe sbagliato fare marcia indietro».
Nonostante i faccia a faccia di questa settimana i partiti non riescono a trovare un nome, a identificare una figura credibile, e di garanzia per tutti, che possa sedere al Quirinale per i prossimi sette anni, così si cerca una soluzione di comodo, che l’attuale inquilino però rifugge come «una non soluzione».
In un Paese in cui nessuno vorrebbe lasciare la poltrona Napolitano invece si ritrae, invita a non attribuire «valenze salvifiche» alla sua persona e anzi vive con ansia, quasi con angustia, le continue pressioni. Pressioni che non accetta, specie se accompagnate da una sorta di richiamo a un dovere morale. Il Presidente è certamente grato per tutti i riconoscimenti che gli vengono tributati ma considera il mandato concluso - «tutto quello che avevo da dare ho dato» ripete - anche perché conosce perfettamente la fatica del ruolo, sente il peso degli sforzi fatti e ricorda che a giugno compirà 88 anni.
Per chi ha lavorato per cercare di fare dell’Italia un Paese normale è incomprensibile che non si possa dare una successione ordinata a una scadenza istituzionale prevista, come se non ci fosse nessuno idoneo al compito. C’è poi un’allergia alle «soluzioni pasticciate», a quelle che all’estero definirebbero immediatamente «soluzioni all’italiana», cioè a inventare un prolungamento non previsto dalla Costituzione. Il mandato è di sette anni, ma vale la pena raccontare come siano stati in molti a prospettare una rielezione per un tempo più breve, lasciando all’inquilino del Colle la libertà di decidere poi quando dimettersi. Non è mai successo nella storia della nostra Repubblica e Napolitano non intende certo rompere la regola, ma i più tenaci non demordono sottolineando che viviamo tempi particolari in cui perfino un Papa ha dato le dimissioni in anticipo. «Ma è un esempio che non calza per nulla - ha replicato il Presidente –, perché per un papa non esiste scadenza e così nemmeno anticipo», mentre qui tutto è codificato con chiarezza.
Non basta, ci sono ragioni di principio, di linearità e probabilmente non mancherà anche quel filo di amarezza per non essere stato ascoltato alla fine della scorsa legislatura, quando ha sollecitato mille volte i partiti a non buttare via le intese sulle riforme e a cambiare la legge elettorale. Se gli avessero dato ascolto oggi la situazione sarebbe di certo meno ingarbugliata e difficile.
Così siamo arrivati all’ultima domenica al Quirinale per Giorgio Napolitano, il prossimo fine settimana potrebbe essere già stato eletto il suo successore, nel congedo non ci sono rimpianti perché a prevalere è la convinzione di aver fatto tutto il possibile per tenere in piedi il Paese: il lavoro dei saggi è stato il tentativo «di dare una conclusione seria» al percorso nel momento in cui ci si è trovati di fronte a un muro.
Il Presidente va via senza che si sia formato un nuovo governo, con un termine di mandato «particolarmente impegnativo e faticoso» perché due giri di consultazioni hanno sempre dato lo stesso risultato, confermando posizioni inconciliabili, e perché mandare Bersani davanti alle Camere senza la garanzia di una fiducia sarebbe stato non solo un rischio troppo grande ma anche un azzardo che qualcuno non avrebbe esitato a definire un golpe.
L’alternativa di un governo del Presidente, una soluzione simile a quella trovata nel novembre del 2011 con Monti per evitare una precipitazione drammatica, oggi non è più possibile. Tutto è cambiato, non c’è più un Mario Monti dietro l’angolo e forse l’unica cosa su cui tutti, ma proprio tutti – da Grillo a Berlusconi, da Monti a Bersani - sono stati d’accordo nei colloqui al Quirinale è che ci vuole un governo politico con un eletto a guidare il governo.
Il Presidente ha sotto gli occhi il film dell’ultimo mese e resta convinto che i saggi siano «stati l’ultimo contributo possibile», un contributo che «non andrebbe buttato via» perché ha dimostrato che un dialogo è possibile anche tra persone molto diverse tra loro, che «esistono occasioni di collaborazione» che andrebbero colte al volo. Ma certi processi politici non possono essere imposti da nessun Presidente, spetta ai partiti decidere se collaborare e in che forme e ora toccherà al successore di Napolitano riprendere il filo e trarre le conclusioni di questa fase convulsa.
Al successore, non più a lui, che ora chiede solo di essere protetto da pressioni indebite e ripete di non essere disponibile a soluzioni di comodo apparentemente facili ma poi confuse e pasticciate.
Per la politica è il tempo di avere coraggio, di prendere responsabilità e scegliere. Per Giorgio Napolitano è il tempo del commiato, del ritorno alle aule parlamentari, ai libri, alla musica classica e alla vita privata.
E’ già tutto pronto, tutto è stato ordinato, catalogato e trasferito, restare o peggio tornare indietro «sarebbe ai limiti del ridicolo».
Il dietrofront più veloce della Storia. Un atto inconsueto. Incoerente.
Giorgio Napolitano non è il mio Presidente della Repubblica, sappiatelo.
Non mi sono chiari troppi passaggi, è tutto troppo torbido per me. Illuminiamoci attraverso la Costituzione italiana, vediamo cosa dice l'artico 84, in merito:
"L'ufficio di Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica".
L'articolo 85:
"Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni.
Trenta giorni prima che scada il termine, il Presidente della Camera dei deputati convoca in seduta comune il Parlamento e i delegati regionali, per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Se le Camere sono sciolte, o manca meno di tre mesi alla loro cessazione, la elezione ha luogo entro quindici giorni dalla riunione delle Camere nuove. Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica".
Nella Carta costitutiva della nostra nazione vi è scritto espressamente "Nuovo". Io credo fermamente che lo scopo di questo aggettivo inserito in quel punto dai padri costituenti a garanzia di un ricambio, lo penso fortemente. Non è stato messo a caso, anzi ogni termine ha una sua importanza fondamentale. L'Italia usciva dopo un ventennio fascista e un passato monarchico durato 85 anni e si voleva evitare un periodo di "regno" troppo lungo. Un settennato era sufficiente a garantire il paese, non 14 anni. Alcuni chiamano Napolitano "re Giorgio", non a casa. Ha accettato per il bene del paese. Ad 88 anni. Tra 7 anni avrà 95 anni. Un presidente per il cambiamento. E' possibile che gli sia sfuggito questo aspetto, essendo egli il garante uscente della Costituzione? Difficile. Di sicuro è un gesto straordinario. Inedito. E' l'accanimento terapeutico, per arginare e combattere i cittanini all'interno delle istituzioni. Hanno paura che i loro scheletri nell'armadio vengano alla luce. Ma mi sa che è troppo tardi. Ormai 163 cittadini sono dentro il Parlamento. I partiti dovranno fare i salti mortali per nascondere gli inciuci.
Pur di non votare un presidente gradito al popolo, Rodotà, la casta partitica ha fatto i salti mortali con voli carpiati, senza spiegare peraltro perché un esponente storico della sinistra non andasse bene. Perché no Rodotà? Troppo laico? Non piace ai cattolici? Eccoli, di nuovo: i cattolici, la Chiesa, il Vaticano, il medioevo. Siamo sempre lì. Ma per le dimissioni di Ratzinger e l'elezione del nuovo papa Francesco, qualcuno ci ha interpellato? No. Allora perché questa forte ingerenza nella vita repubblicana? Sono quesiti difficilmente spiegabili con la logica. Forse con lo Spirito Santo...
Scollamento totale tra il popolo e gli eletti in Parlamento. Un presidente eletto col 54% al primo mandato, riceve oggi un vero plebiscito col 74%. Quando la paura fa novanta...
Non preoccupandosi se nessuno lo vuole, se tutti i giorni si suicida qualcuno, se la disuguaglianza sociale è sempre più accentuata.
Lontani sembrano gli echi delle parole di un amatissimo capo di Stato quale fu Pertini:
« Per me libertà e giustizia sociale, che poi sono le mete del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile: non vi può essere vera libertà senza la giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà. Ecco, se a me socialista offrissero la realizzazione della riforma più radicale di carattere sociale, ma privandomi della libertà, io la rifiuterei, non la potrei accettare. [...] Ma la libertà senza giustizia sociale può essere anche una conquista vana. Si può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha un lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero. [...] »
Un altro ex Presidente della Repubblica si è espresso in passato sul tema "rielezione", Carlo Azeglio Ciampi, il 3 maggio del 2006, faceva pubblicare la seguente nota del Quirinale:
«Confermo la mia non disponibilità a candidarmi per un secondo mandato. Nessuno dei precedenti nove presidenti della Repubblica è stato rieletto. Ritengo che questa sia divenuta una consuetudine significativa. È bene non infrangerla. A mio avviso, il rinnovo di un mandato lungo, qual è quello settennale, mal si confà alle caratteristiche proprie della forma repubblicana del nostro Stato».Elevata figure istituzionali e grandi uomini. Come ce ne sono stati pochi in Italia.
Di ben altro profilo i "nostri" vecchi politici: hanno governato insieme un anno, si sono scannati in campagna
elettorale ed ora inciuciano tra loro come se niente fosse.
E' inspiegabile, oltreché vergognoso. Sono scelte che vanno oltre l'umana immaginazione, oltre la normale logica, che non sia quella di poteri forti, più o meno occulti, più grandi di noi, che ci manovrano e ci fanno fare quello che vogliono loro. Magari con la parvenza che siamo noi a scegliere il nostro futuro.
Sono andati in quattro, dicevo, a "pregare" l'ex presidente di rimanere. Mancava il M5S (25% dell'Italia, circa 8 milioni di votanti).
Ma soprattutto mancava quel 25% di non votanti. Non nascondiamoci una cosa: un paese è medievale non per costrizioni esterne (almeno non solo...), ma per scelta diretta. Una nazione in cui l'analfabetismo è così elevato è più facile da governare, da tenere a bada. Ci sono tra questi "non-votanti" dei semianalfabeti che non sanno chi sia Napolitano, che non sanno cosa sia il Quirinale, che disconoscono la suddivisione del Parlamento in due camere, che ignorano il significato di Montecitorio e Palazzo Madama, che non conoscono i fondamentali articoli della Costituzione come punto di partenza per essere dei veri cittadini. Dei civis. Dei civili appunto, appartenenti alla comunità e non un peregrinus (lo straniero fuori città), o, come verrà chiamato successivamente, un barbaro.
L'analfabetismo è la condizione che più si avvicina a quella di animale.
Ps: Tra i tanti meriti di re Giorgio, ne veniamo a conoscenza nella puntata di Report del 21/04/'13, ha anche quello di aver nominato Bashar al Assad (dittatore siriano), al pranzo di Stato, Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran cordone al merito della Repubblica italiana. Benemerenza tolta nel 2010.
Un aspetto positivo questa vicenda la ha: risparmieremo sulle nuove foto negli uffici pubblici che non andranno cambiate...
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