novembre 09, 2011

I "tresor"

Che fine hanno fatto i biscotti "Tresor"? Un biscotto-feticcio molto anni '80, così vintage... Eppure trovarne uno sembra proprio una caccia al...tesoro!
Mi ricordo una confezione di color bianco o ghiaccio, se non erro, con scritte color cioccolato, non di certo rossa, come il pacco del nuovo prodotto della Pavesi "Break tresor", una sorta di "evoluzione aggiornata e moderna", che recita (come da sito): "Il nuovo appassionante snack di Togo". No, cara Pavesi, non appassiona proprio nessuno, rivogliamo il nostro vecchio, caroTRESOR!
Innanzitutto su "Google immagini" è impossibile reperire anche una sola foto, da allegare qui, della confezione classica o degli stessi dolcini: sembrano spariti dalla memoria collettiva. Invece non è così. Non solo ho contato almeno due gruppi-facebook che annoverano un migliaio di adepti, "RIVOGLIAMO I TRESOR PAVESI!!!" e "TRESOR Pavesi (per un trionfale ritorno)", ma ho anche scoperto food-blogger che li hanno preparati a casa grazie ad una ricetta trovata in rete:
Dosi per 8 porzioni – Difficoltà Facile
* Ingredienti 125 gr. zucchero
* 10 gr. miele
* 3 uova
* 150 gr. farina
* 25 gr. fecola
* 1 bustina di vanillina
* granella di zucchero
* cioccolato fondente

Preparazione
Sbattere lo zucchero e il miele con le uova molto bene.
Unire sempre mescolando la farina e la fecola setacciate e la vanillina.
Trasferire il composto in una tasca da pasticceria e formare dei bastoncini (molto distanziati tra loro perchè si allargano) sulla teglia coperta da carta da forno.
Cospargere di zucchero in granella e cuocere in forno ventilato a 200° per circa 6/8 minuti, cioè quando saranno coloriti.
Far raffreddare e decorare i biscotti con il cioccolato fuso, formando delle strisce oblique.
Con queste dosi si ottengono circa 50 biscotti.
Tanta è la nostalgia che emerge leggendo i commenti di chi lamenta la difficoltà di reperimento. Sono state inviate delle email alla Pavesi e alla Barilla (che sembra nel frattempo aver assorbito la più piccola azienda) che ha risposto gentilmente che "Sic statibus rebus", i biscotti sono fuori produzione ormai da qualche anno, vale a dire, tra le righe, "non piacciono più a nessuno, dunque abbiamo cambiato strategia commerciale, cioè: attaccatevi al tram!".
Ecco la risposta, per nulla soddisfacente, della ditta:

"Gentile Signora...,

in merito al quesito che ci ha posto, siamo spiacenti di informarla che i
biscotti Tresor, non sono più attualmente in produzione.

La nostra azienda, nel tentativo di soddisfare al meglio le esigenze dei
consumatori, ha di recente effettuato alcuni cambiamenti a livello produttivo,
con l'introduzione di prodotti nuovi e la conseguente eliminazione di altri,
risultati di minore o scarso gradimento.

Con la speranza possa comunque continuare ad apprezzare l'alta qualità dei
nostri prodotti, le porgiamo cordiali saluti.

Barilla G.& R. Fratelli
Servizio Consumatori".


Per molti il delicato biscottino, simil "pavesino", tempestato di granella di zucchero e striato di cioccolato fondente, rappresenta un ricordo dell'infanzia molto malinconico, che mette nostalgia e riporta alla memoria un celebre passo di "Alla ricerca del mondo perduto" di Proust, nella fattispecie il racconto delle madeleines.
"Già da molti anni di Combray tutto ciò che non era il teatro o il dramma del coricarmi non esisteva più per me, quando in una giornata d'inverno, rientrando a casa, mia madre, vedendomi infreddolito, mi propose di prendere, contrariamente alla mia abitudine, un po' di tè. Rifiutai dapprima, e poi, non so perché, mutai d'avviso. Ella mandò a prendere una di quelle focacce pienotte e corte chiamate « maddalenine», che paiono aver avuto come stampo la valva scanalata d'una conchiglia.

Ed ecco, macchinalmente, oppresso dalla giornata grigia e dalla previsione d'un triste domani, portai alle labbra un cucchiaino di tè, in cui avevo inzuppato un pezzo di «maddalena». Ma, nel momento stesso che quel sorso misto a briciole di focaccia toccò il mio palato, trasalii, attento a quanto avveniva in me di straordinario. Un piacere delizioso m'aveva invaso, isolato, senza nozione della sua causa. M'aveva reso indifferenti le vicissitudini della vita, le sue calamità, la sua brevità illusoria, nel modo stesso che agisce l'amore, colmandomi d'un'essenza preziosa: o meglio quest'essenza non era in me. era me stesso. Avevo cessato di sentirmi mediocre, contingente, mortale. Donde m'era potuta venire quella gioia violenta? Sentivo ch'era legata al sapore del tè e della focaccia, ma la sorpassava incommensurabilmente, non doveva essere della stessa natura. Donde veniva? Che significava? Dove afferrarla?

Bevo un secondo sorso in cui non trovo nulla di più che nel primo, un terzo dal quale ricevo meno che dal secondo. E' tempo ch'io mi fermi, la virtù della bevanda sembra diminuire. E chiaro che la verità che cerco non è in essa, ma in me. Essa l'ha risvegliata, ma non la conosce, e non può che ripetere indefinitamente, con forza sempre minore, quella stessa testimonianza che io sono incapace d'interpretare e che voglio almeno poterle donare di nuovo e ritrovare a mia disposizione intatta, fra poco, per.una spiegazione decisiva. Depongo la tazza e mi rivolgo al mio animo. Tocca a esso trovare la verità. Ma come? Grave incertezza, ogni qualvolta l'animo nostro si sente sorpassato da sé medesimo; quando lui, il ricercatore, è al tempo stesso anche il paese tenebroso dove deve cercare e dove tutto il suo bagaglio non gli servirà a nulla. Cercare? non soltanto: creare. Si trova di fronte a qualcosa che ancora non è, e che esso solo può rendere reale, poi far entrare nella sua luce.

E ricomincio a domandarmi che mai potesse essere quello stato sconosciuto, che non portava con sé alcuna prova logica, ma l'evidenza della sua felicità, della sua realtà dinanzi alla quale ogni altra svaniva. Voglio provarvi a farlo riapparire. Indietreggio col pensiero al momento in cui ho bevuto il primo sorso di tè. Ritrovo lo stesso stato, senza una nuova luce. Chiedo al mio animo ancora uno sforzo, gli chiedo di ricondurmi di nuovo la sensazione che fugge. E perché niente spezzi l'impeto con cui tenterà di riafferrarla, allontano ogni ostacolo, ogni pensiero estraneo, mi difendo l'udito e l'attenzione dai rumori della stanza accanto. Ma, sentendo come l'animo mio si stanchi senza successo, lo costringo a prendersi quella distrazione che gli rifiutavo, a pensare ad altro, a ripigliar vigore prima d'un tentativo supremo. Poi, una seconda volta, gli faccio intorno il vuoto; di nuovo gli metto di fronte il sapore ancora recente di quel primo sorso, e sento in me trasalire qualcosa che si sposta e che vorrebbe alzarsi, qualcosa che si fosse come disancorata, a una grande profondità, non so che sia, ma sale adagio adagio; sento la resistenza, e odo il rumore delle distanze traversate.

Certo, ciò che palpita così in fondo a me dev'essere l'immagine, il ricordo visivo, che, legato a quel sapore, tenta di seguirlo fino a me. Ma si agita in modo troppo confuso; percepisco appena il riflesso neutro in cui si confonde l'inafferrabile turbinio dei colori smossi; ma non so distinguere la forma, né chiederle, come al solo interprete possibile, di tradurmi la testimonianza del suo contemporaneo, del suo inseparabile compagno, il sapore, chiederle di rivelarmi di quale circostanza particolare, di quale epoca del passato si tratti.

Toccherà mai la superficie della mia piena coscienza quel ricordo, l'attimo antico che l'attrazione d'un attimo identico è venuta così di lontano a richiamare, a commuovere, a sollevare nel più profondo di me stesso? Non so. Adesso non sento più nulla, s'è fermato, è ridisceso forse; chi sa se risalirà mai dalle sue tenebre? Debbo ricominciare, chinarmi su di lui dieci volte. E ogni volta la viltà, che ci distoglie da ogni compito difficile, da ogni impresa importante, m'ha consigliato di lasciar stare, di bere il mio tè pensando semplicemente ai miei fastidi di oggi, ai miei desideri di domani, che si possono ripercorrere senza fatica.

E ad un tratto il ricordo m'è apparso. Quel sapore era quello del pezzetto di «maddalena» che la domenica mattina a Combray ( giacché quel giorno non uscivo prima della messa ), quando andavo a salutarla nella sua camera, la zia Léonie mi offriva dopo averlo bagnato nel suo infuso di tè o di tiglio.

La vista della focaccia, prima d'assaggiarla, non m'aveva ricordato niente; forse perché, avendone viste spesso, senza mangiarle, sui vassoi dei pasticcieri, la loro immagine aveva lasciato quei giorni di Combray per unirsi ad altri giorni più recenti; forse perché di quei ricordi così a lungo abbandonati fuori della memoria, niente sopravviveva, tutto s'era disgregato; le forme - anche quella della conchiglietta di pasta - così grassamente sensuale sotto la sua veste a pieghe severa e devota - erano abolite, o, sonnacchiose, avevano perduto la forza d'espansione che avrebbe loro permesso di raggiungere la coscienza. Ma, quando niente sussiste d'un passato antico, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, più tenui ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l'odore e il sapore, lungo tempo ancora perdurano, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla quasi impalpabile, senza vacillare, l'immenso edificio del ricordo.

E, appena ebbi riconosciuto il sapore del pezzetto di " maddalena " inzuppato nel tiglio che mi dava la zia (pur ignorando sempre e dovendo rimandare a molto più tardi la scoperta della ragione per cui questo ricordo mi rendesse così felice), subito la vecchia casa grigia sulla strada, nella quale era la sua stanza, si adattò come uno scenario di teatro al piccolo padiglione sul giardino, dietro di essa, costruito per i miei genitori (il lato tronco che solo avevo riveduto fin allora); e con la casa la città, la piazza dove mi mandavano prima di colazione, le vie dove andavo in escursione dalla mattina alla sera e con tutti i tempi, le passeggiate che si facevano se il tempo era bello. E come in quel gioco in cui i Giapponesi si divertono a immergere in una scodella di porcellana piena d'acqua dei pezzetti di carta fin allora indistinti,, che, appena immersi, si distendono, prendono contorno, si colorano, si differenziano, diventano fiori, case, figure umane consistenti e riconoscibili, così ora tutti i fiori del nostro giardino e quelli del parco di Swann, e le ninfee della Vivonne e la buona gente del villaggio e le loro casette e la chiesa e tutta Combray e i suoi dintorni, tutto quello che vien prendendo forma e solidità, è sorto, città e giardini, dalla mia tazza di tè."


Ricordano alcuni fans, non so quanto suggestionati dalla lettura dell'opera dello scrittore francese, con rammarico, testuali parole: "Sono cresciuta sgranocchiando questi biscotti..sapore di gioventù e di un tempo che non c'é più", "Li adoro. Me li comprava sempre nonna Immacolata! Li rivoglio!!!!!!!!!!!!!", "Anch'io rivoglio i TRESOR.... sopratutto in autogrill...per anni sono stati i miei inseparabili compagni di viaggio", "Un sapore che ricorda l'infanzia e affetti perduti, indimenticabili!", "Ricordo che la scatola mi durava tre minuti netti!!! vesto il lutto da quando non li trovo più!!!", "Erano buonissimi...e li associo al ricordo della mia nonna Maria la quale il pomeriggio in inverno mi preparava la cioccolata calda e me la portava sempre cn un pacco di tresor....♥ ♥ ♥", "...a me ricordano quando ero piccolaaaaaa!! a casa della nonna non mancavano maiiiiii!!!!... i biscotti più buoni di tutti i tempiiii!!!!!" e così via. Si capisce che il bagaglio di ricordi che suscita si percepisce al di là della semplice mancanza dell'oggetto in questione, rappresenta qualcosa di più: la perdita del tempo che fu, di un mondo che sembra definitivamente scomparso, degli affetti che non ci sono più, di legami che rimangono ancora forti nella memoria, grazie al profumo annusato da bambino, alla fragranza e al sapore di un semplice dolcetto che si scioglieva in bocca.
I moltissimi appassionati non sembrano voler demordere e cercano di tempestare la Pavesi, ora Barilla, di lettere sperando di far cambiare idea ai produttori e, in tal modo, convincerli a rimettere in commercio il famoso biscottino. Io ho sposato appieno la causa. Che la lotta abbia inizio!

3 commenti:

Serena ha detto...

Anch'io vorrei tanto riassaporare i miei biscotti preferiti i Togo fanno schifo e la Bari la non ha proprio capito niente ... Mi domando come mai le cose buone vengono tolte ... Che stupidi!!!

Anonimo ha detto...

Secchi e apparentemente inutili, inzuppati nel latte erano i migliori biscotti in assoluto. Potevo mangiarne un pacco intero!
I biscotti Pavesi erano molto meglio di quelli Mulino Bianco che prima o poi ti portano alla nausea. Ormai rimangono solo i mitici Ringo; ma vedrai che fra un po'faran fuori anche quelli (ho giá visto delle inquietanti variazioni sul tema che non promettono nulla di buono).
Sono contento che qualcun altro si sia interrogato sul giallo della sparizione dei tresor. Grazie anche di aver scritto all'azienda cosí mi evitate di farlo a mia volta.
Esiste un precedente, sempre in casa Barilla. Si tratta dei ciockini che una volta avevano una consistenza e un sapore simile ai baci di dama della sassellese (erano squisiti). Poi un giorno, senza preavviso, hanno cambiato la ricetta rendendoli dei biscottini abbastanza insulsi e del tutto rinunciabili. Chissá se in quel caso qualcun altro se n'è accorto.

Anonimo ha detto...

E' evidente che a loro importa ben poco dei clienti. A me (e non solo) piacevano tantissimo.
Togo? Duri e anche brutti.

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