Avevo sotto braccio i libri di scuola stretti nella
cinghia. Non avevo trovato in casa mia madre, né nessuno; e avevo attraversato
il sobborgo per salire sul poggio, in campagna. Vedo tutto. Non volevo pensare.
Volevo esser lieto. Sai i ciottoli che gli asinelli alle volte si prendono tra
gli zoccoli e li fanno ruzzolare per un tratto e poi, dove si fermano, stanno?
Diedi un colpo a uno con la punta della scarpa: godi, vola! - L'erba che spunta
sulle prode o a piè delle muricce, certi lunghi fili d'avena impennacchiati che
fa piacere brucare: tutti i pennacchietti ti restano a mazzo nelle dita; si
gettano addosso a qualcuno, e quanti se ne attaccano, tanti mariti (se è una
donna) prenderà, e tante mogli se un uomo. Io feci la prova su Fox. Sette
mogli. Ma Fox, vecchio stupido, chiuse gli occhi e rimase, senza capir lo
scherzo, con quelle sette mogli addosso. Per dirti com'ero. Ma a un certo punto
non ebbi più voglia d'andare avanti. Mi sentii stanco e seccato. Mi tirai a
sedere sulla muriccia a manca della strada, e di là mi misi a guardare nel
cielo la luna che cominciava appena ad avvivarsi d'un pallido oro nel verde del
crepuscolo. La vedevo e non la vedevo, come le cose che mi vagavano nella mente
e l'una cangiava nell'altra e tutte mi allontanavano sempre più dal mio corpo
lì seduto inerte, che non me lo sentivo più; la mia stessa mano, se l'avessi
veduta, posata sul ginocchio, mi sarebbe sembrata quella d'un estraneo; non ero
più nel mio corpo, ma nelle cose che vedevo e non vedevo, il cielo morente, la
luna che s'accendeva e là quelle masse cupe d'alberi che si stagliavano
nell'aria fatta vana, e la terra sola, nera, zappata da poco, da cui esalava
ancora quel senso d'umido corrotto nell'afa delle ultime giornate d'ottobre,
ancora di sole caldo.
Ho tutto vivo qua, preciso; vedo tutto come se ci
fossi ancora. A un tratto, tutto assorto come ero, chi sa che cosa mi passò per
le carni, stolzai, e istintivamente alzai la mano a un orecchio. Sento stridere
una risatina da sotto la muriccia. Un ragazzo della campagna s'era nascosto là
sotto, dalla parte della campagna. Aveva strappato e brucato anche lui un lungo
filo d'avena, gli aveva fatto un cappio in cima e, zitto zitto, con esso
alzando il braccio aveva tentato d'accappiarmi l'orecchio. Appena mi voltai risentito,
subito col dito m'accennò di tacere e tese il filo d'avena lungo la muriccia,
dove tra una pietra e l'altra spuntava il musetto d'una lucertola, a cui con
quel cappio egli dava la caccia. Mi voltai a guardare, ansioso. La bestiola,
senz'accorgersene, aveva infilato da sé il capo nel cappio lì appostato; ma
ancora era poco, bisognava aspettare che lo sporgesse un po' di più, e poteva
darsi che invece lo ritraesse, se la mano che reggeva il filo d'avena tremolava
e le faceva avvertire l'insidia. Forse era sul punto d'assaettarsi per evadere
da quel rifugio divenuto una prigione. Attenti a dare a tempo la stratta;
questione d'un attimo. Eccola! E la lucertola guizzò come un pesciolino in cima
a quel filo d'avena. Saltai giù irresistibilmente dalla muriccia; ma quello,
forse temendo che volessi impadronirmi della bestiola, roteò più volte in aria
il braccio e poi la sbatté con ferocia su un lastrone che si trovava lì tra gli
sterpi.
- No! - gridai;
troppo tardi: la lucertola giaceva immobile su quel lastrone
col bianco della pancia al lume della luna. Ne provai un'ira grandissima. Avevo
voluto anch'io che quella povera bestiola fosse presa, preso anch'io per un
momento da quell'istinto della caccia che è in tutti agguattato; ma ucciderla
così, senza prima vederla da vicino, negli occhietti vivi acuti fino allo
spasimo, nel palpito dei fianchi, nel fremito di tutto il verde corpicciuolo;
no, era stato stupido e vile. E avventai con tutta la forza un pugno in petto a
quel ragazzo, mandandolo a ruzzolare in terra, tanto più lontano quanto più
lui, così tutto squilibrato indietro, tentò di riprendersi per non cadere.
Caduto, si rizzò inferocito, ghermì un toffo di terra e me lo scagliò in
faccia; ne restai accecato e con quel senso d'umido in bocca che più mi seppe
di sfregio e m'imbestialì. Presi anch'io di quella terra e la scagliai. Il
duello si fece subito accanito. Ma lui era più svelto e più bravo, e mi veniva
sempre più addosso, avanzando, con quei toffi di terra che, se non ferivano,
percotevano sordi e duri e, sgretolandosi, erano come una grandinata da per
tutto in petto sulla faccia tra i capelli agli orecchi e fin dentro le scarpe;
soffocato, non sapendo più come ripararmi e difendermi, furibondo mi voltai,
spiccai un salto e col braccio alzato strappai una pietra dalla muriccia.
Qualcuno di là si ritrasse, sarà stato Fox. Scagliata la pietra, d'un tratto -
io non so come - da che tutto prima mi sbalzava davanti agli occhi, quelle
masse d'alberi, in cielo la luna come uno striscio di luce, ora più nulla, non
si moveva più nulla, il tempo stesso e tutte le cose pareva si fossero fermati
in uno stupore attonito intorno a quel ragazzo traboccato a terra. Ancora
ansante, col cuore in gola, mirai esterrefatto, addossato alla muriccia,
quell'incredibile immobilità silenziosa della campagna sotto la luna, quel
ragazzo che vi giaceva con la faccia mezzo nascosta nella terra, e sentii
crescere in me, formidabile, il senso d'una solitudine eterna, da cui dovevo
subito fuggire. Non ero stato io; io non l'avevo voluto; non ne sapevo nulla. E
proprio come se m'appressassi per curiosità, mossi un passo e poi un altro, e
mi chinai a guardare. Il ragazzo aveva la testa sfragellata, la bocca nel
sangue colato a terra nero e una gamba un po' scoperta - tra il calzone che s'era
ritirato e la calza di cotone. Morto, come da sempre. E tutto restava lì, come
un sogno, da cui dovevo svegliarmi per andar via in tempo. Lì, come un sogno,
quella lucertola arrovesciata sul lastrone, con la pancia alla luna e il filo
d'avena che le pendeva ancora dal collo. Io me ne andavo col mio fagotto di
libri di nuovo sotto il braccio e Fox dietro, che anche lui non sapeva nulla. E
a mano a mano che m'allontanavo, discendendo dal poggio, divenivo, sempre più,
così stranamente sicuro, che non m'affrettavo nemmeno. Arrivai alla piazzetta
deserta, dove avevano costruito da poco il grande ospedale, ricorderai -
C'era anche lì la luna; mi parve un'altra, se ora li
rischiarava, senza saper nulla, la bianca facciata dell'ospedale. Ed ecco la
via del sobborgo, come prima. Arrivai a casa; non c'era ancora nessuno; mia
madre non era ancora rientrata. Non dovevo dunque dirle neppure dov'ero stato.
Ero stato là in casa ad aspettarla. Ecco. E questo, che sarebbe stato vero per
mia madre, era diventato subito vero anche per me. Chiuso tutto. Sepolto. Non
ero stato io. Cercai con terrore gli occhi di Fox. Dormiva. Non era stato
nulla. Io non l'avevo voluto. Un sogno lasciato lassù, sotto la luna.
Nessun commento:
Posta un commento