VITA NUOVA:
E’ la storia corredata da tutta una serie di segni, di tratti di tipo salvifico-provvidenziali: la storia dell’incontro di Dante con Beatrice. L’incipit, la prima apparizione della donna a Dante, un’apparizione che è in una cornice di assoluta eccezionalità, dominata, questa ricorrenza, dal numero 9, che è il numero della perfezione, multiplo del numero trinitario. E’ un libro della memoria, l’inizio della Vita Nuova dice così: «In quella parte del libro della mia memoria dinanzi alla quale poco si potrebbe leggere, si trova una rubrica la quale dice Incipit Vita Nova. Sotto la quale rubrica io trovo scritte le parole le quali è mio intendimento d'asemplare in questo libello, e se non tutte, almeno la loro sentenzia ». Dante sta dicendo che questa narrazione è una storia nutrita di memoria, ciò che è narrato è evidentemente è già accaduto, ma che soprattutto questa sua narrazione sarà fatta per momenti particolarmente significativi, tanto che dice: “e se non tutte, almeno la loro sentenzia”. E poi dirà appunto che è una selezione di tanti dati memoriali che vanno presi nell’accezione dantesca cioè “altamente significativi”. La narrazione ha inizio in questa esemplare storia dell'incontro di Dante con Beatrice ed è decisiva la fatale, la prima apparizione di Beatrice e scrive Dante: «Nove fiate già appresso lo mio nascimento era tornato lo cielo de la luce quasi a uno medesimo punto, quanto a la sua propria girazione, quando a li miei occhi apparve prima la gloriosa donna de la mia mente, la quale fu chiamata da molti Beatrice li quali non sapeano che si chiamare». Ecco la prima apparizione sotto evidentemente dei segni, anche astrologici, particolarmente dotati di significato, e tutto il racconto è scandito dal ritorno di questo numero nove che è il numero della perfezione. Ci dice Dante, in questa riscrittura ideale del suo incontro con Beatrice, che egli aveva nove anni, quindi l’incontro è collocato nel 1264, Dante dice: “apparve prima”, PRIMA è un avverbio che significa “per la prima volta”, poi APPARVE è il vocabolo scritturale APARUIT, neotestamentario. E’ proprio l’epifania del divino, Beatrice è corredata da segni salvifici, è una figura Christi non solo per questo, ma anche per altri colori, elementi che corredano la sua vita; “la gloriosa donna de la mia mente”, donna naturalmente ha ancora il significato di domina, signora, padrona della mia mente, del mio animo. Gloriosa in quanto il racconto è stato scritto dopo la morte di Beatrice, "glorioso" vuol dire che gode della gloria del cielo. L’effetto beatificante di Beatrice “la quale fu chiamata da molti Beatrice”, c’è tutto un significato etimologico, Beatrice è colei che dà la beatitudine. “Li quali non sapeano che si chiamare”, le persone non sapevano quanto questo nome (nome/omenen), questa potenza beatificante di Beatrice fosse congeniale, avesse una rigorosa corrispondenza col suo nome. La coincidenza sul 9 correla Dante a Beatrice "Nove fiate già appresso lo mio nascimento": «Ella era in questa vita già stata tanto, che ne lo suo tempo lo cielo stellato era mosso verso la parte d'oriente de le dodici parti l'una d'un grado, sì che quasi dal principio del suo anno nono apparve a me, ed io la vidi quasi da la fine del mio nono». Dante aveva quasi compiuto, terminato, il suo nono anno di vita, Beatrice appare a Dante al suo nono anno. "Apparve" ricorre moltissimo per sottolineare, sugellare, la sacralità di determinati momenti. La prima volta che Beatrice appare a Dante è vestita di questo nobilissimo colore, delle più alte dignità, ma è anche il sanguigno colore di Cristo. E da lì ha inizio questa narrazione , di questo incontro con Beatrice, incontro che viene per un verso narrato con tutti i particolari, la fenomenologia dell'amor doloroso: Dante è assalito da febbri, da tremori e l'intensità di questa visione e il dominio che questa donna esercita su di lui è tale da renderlo incapace di parlare; sono appunto tutti elementi consueti, topici nella fenomenologia dell'amore doloroso. Ma Beatrice lo "saluta", anche qui c'è il gioco etimologico perchè il saluto è naturalmente la salus, il saluto di Beatrice dà salvezza. Il passo dove Dante raggiunge il culmine della sua beatitudine quando Beatrice per la seconda volta, nove anni dopo: «Poi che fuoro passati tanti die, che appunto erano compiuti li nove anni appresso l'apparimento soprascritto di questa gentilissima, ne l'ultimo di questi die avvenne che questa mirabile donna apparve a me vestita di colore bianchissimo, in mezzo a due gentili donne, le quali erano di più lunga etade; e passando per una via, volse li occhi verso quella parte ov'io era molto pauroso, e per la sua ineffabile cortesia, la quale è oggi meritata nel grande secolo, mi salutoe molto virtuosamente, tanto che me parve allora vedere tutti li termini de la beatitudine». Gentilissima è il superlativo che viene usato esclusivamente per Beatrice, le altre sono donne "gentili". Questo colore bianchissimo della veste di Beatrice, nella seconda apparizione a Dante, è un colore scritturale, perchè è il colore angelico, è il colore con cui appare Cristo nella trasfigurazione: "vestimenta eius facta sunt splendentia candida nimis velut nix qualia fullo super terram non potest candida facere" (Vangelo di Marco; 9,3), è più candido della neve. E anche, sempre nel vangelo, nella trasfiguazione è in particolare l'apparizione dei due profeti Elia e Mosè a Cristo. A questa apparizione vestita di colore bianchissimo si accompagna il saluto di Beatrice, e per la sua ineffabile cortesia, che conduce, rapisce Dante e gli fa toccare il culmine della beatitudine. Questa storia spirituale, narrata per exempla poetici che vengono evidentemente reinterpretati, conosce un suo sviluppo dopo gli incontri con Beatrice, Dante non riesce a nascondere i suoi sentimenti (ed era assolutamente un atto sconveniente mostrare, dichiarare, far capire quale fosse il oggetto dell'amore) si inserisce l'episodio del capo, la negazione del saluto, l'opera (che è un'operetta), a metà, ha il suo culmine dopo un periodo di sofferenza, di dolore di Dante per la negazione del saluto di Beatrice, è un periodo che Dante evita il consorzio umano e rimane solo nella sua cameretta, dove talvolta ha delle visioni, ecco che Dante è inspirato dalla divinità ed egli concepisce la novità assoluta della sua poesia che la "nova materia" in proclama, della sua poesia e quindi si stacca questo momento cruciale, centrale, abbandona l'esperienza che lo vedeva accomunato soprattutto a Cavalcanti (a cui peraltro è dedicata) e concepisce, quasi per una sorta di ispirazione divina sembra veramente lo scriba, il prefeta delle scritture, lo stile della loda cioè questa poesia in celebrazione di Beatrice, una poesia dell'amore disinteressato, gratuito, un amore che non attende nessuna ricompensa. Ed è la canzone "Donne c'avete intelletto d'amore". E' un punto cruciale, un punto di svolta, uno snodo fondamentale nell'esperienza Dantesca, un modo che è avvertito sempre come tale da Dante che ancora lo cita ed esce insuperato nello stile tragico nel "De vulgari eloquentia" e ancora lo cita come autocelebrazione nel XXIV del purgatorio. Questa poesia che sgorga per ispirazione divina: "Allora dico che la mia lingua parlò quasi come per se stessa mossa, e disse: Donne ch'avete intelletto d'amore. Queste parole io ripuosi ne la mente con grande letizia, pensando di prenderle per mio cominciamento". A confortare questa reinterpretazione delle liriche, che sono scritte, forse solo la canzone in compianto per Beatrice viene composta in parallelo alla prosa, tutte le altre sono disticcate. Per la reinterpretazione in quest'ottica, in questa prospettiva Dante accompagna questo esilissimo racconto. Un racconto totalmente indeterminato,esiguo, non nomina neppure la città col nome proprio o il fiume che attraversa la città, la narrazione ovviamente è ambientata a Firenze, ma non viene mai detto "Firenze" per questa città, non ci sono dei nomi propri nella Vita Nova, parla di "sopradetta cittade", scorreva un rivo chiaro e bello molto, cioè rimane tutto indeterminato, non ci sono nomi propri nella "Vita Nuova", salvo naturalmente quello di Beatrice. A reinterpretare queste poesie, Dante fa seguire al sonetto, alla canzone una spiegazione, un commento, dove spiega la sentenza di queste poesie. Questo tipo di commento, di spiegazione, ha dei modelli nella tradizione provenzale, le Razos (brevi introduzioni in prosa d'oc alle poesie incluse nei canzonieri provenzali, tese a chiarire i fatti storici e i personaggi cui si accenna nei testi, e le circostanze in cui questi sono stati composti. Insieme alle Vidas, con cui a volte si confondono, costituiscono l'esempio più interessante di letteratura critica dei secoli XIII e XIV). Nei canzonieri provenzali, nei trovatori, si potevano trovare dei commenti alle poesie e dei brevi profili biografici dei poeti. Questo accompagnamento di commento, giustificazione, dell'autore stesso era già adottato nella lirica provenzale, bisogna dire che è completamente nuova nell'intento di Dante. Le vidas erano fatte come scheda biografica, di presentazione dell'autore. La figura di Beatrice nella Vita Nuova è esemplata, corredata di segni, tanto che si è parlato di una "figura Christi" per Beatrice. Quando Beatrice muore, nella narrazione, nella prosa che precede questa morte ritornato i segni della morte di Cristo, quelli che hanno accompagnato la morte di Cristo: il terremoto, le stelle che cadono, il sole che si oscura, quindi c'è una cornice proprio di stampo cristologico. A questo compianto, a questo corredo cristologico si accompagna anche il fatto che tutta la città piange, avverte, è un pianto corale tanto che Dante cita le Lamentazioni di Geremia: "Quomodo sedet sola civitas plena populo! facta est quasi vidua domina gentium", tutta la Vita Nuova è esemplata su temi scritturali. Nella seconda parte Dante prostrato dopo la morte di Beatrice, ma che è segno di predilizione, è morta in giovane età: il cielo solo di lei è carente, segue l'episodio della donna gentile, che consola, distrae Dante dal suo dolore: Dante mentre era sempre in solitudine "con doloroso pensamento", continuava ad essere afflitto dal dolore per la morte di Beatrice, alza ad un certo punto gli occhi in alto: "Onde io, accorgendomi del mio travagliare, levai li occhi per vedere se altri mi vedesse. Allora vidi una gentile donna giovane e bella molto, la quale da una finestra mi riguardava sì pietosamente, quanto a la vista, che tutta la pietà parea in lei accolta" Notare che VIDI è per le altre donne, APPARVE è verbo esclusivo di Beatrice. E' l'episodio della donna pietosa che distrae dal pensiero di Beatrice per un certo periodo Dante, è il periodo del cosiddetto "traviamento" che sarà ricordato anche da Beatrice nella sua severa, dura requisitoria nel purgatorio XXX e che per un certo tratto allontana dante dal sentir Beatrice, lo allontana fino a quando Dante viene scosso dalla consapevolezza del suo traviamento, del suo errore e ritorna al pensiero esclusivo di Beatrice. L'opera che si apre con un libro già scritto nella memoria, da cui lui estrapola, seleziona alcuni elementi si chiude invece su un libro da scrivere. Il libro si chiude con il celeberrimo sonetto "Oltre la spera che più larga gira" ed ecco che questo componimento si chiude con l'annuncio di un'opera da farsi perchè, dice Dante, è suo intendimento non scrivere più di Beatrice fino a quando non sarà in grado di "dicer di lei quello che mai non fue detto d'alcuna", quindi un libro già scritto, chiuso, si apre la Vita Nuova, si chiude su un libro a venire, un libro da scrivere, anche se non è pensabile che a questa altezza Dante avesse già in mente il progetto della Commedia. Infatti chiude quest'opera "Appresso questo sonetto apparve a me una mirabile visione, ne la quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dire più di questa benedetta infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei, E di venire a ciò io studio quanto posso, sì com’ella sae veracemente. Sì che, se piacere sarà di colui a cui tutte le cose vivono, che la mia vita duri per alquanti anni, io spero di dicer di lei quello che mai non fue detto d’alcuna". La Vita Nuova raccoglie della produzione anteriore di Dante: 5 canzoni, 25 sonetti, 1 ballata che hanno anche altre testimonianze e cioè che le liriche precedano la composizione, tanto è vero che uno di questi memoriali bolognesi, documenti che sono fondamentali perché testimoniano particolarmente per Dante, ma non solo per Dante, la circolazione della poesia, ma anche l'interesse e l'amore per la poesia, che ha una versione parziale della celeberrima "Donne ch'avete intelletto d'amore" nel 1292. Intanto i memoriali sono documenti notarili e si sa esattamente sempre l'anno e il periodo della trascrizione del documento. Perché negli atti notarili si trovano componimenti poetici? Primo perchè il foglio, la carta, era costosissimo in epoca antica, erano in pergamena. Secondo non si potevano lasciare spazi bianchi, ecco che dunque ai margini o ai bordi si scrivono, si riempiono questie pagine perché non possono essere lasciati degli spazi bianchi, per evitare delle indebite aggiunte, delle correzioni. Il documento ha una validità statutaria: non può essere minimamente manipolato, ecco che per evitare queste manipolazioni la pagina viene ricoperta per intero da scrittura. Questi notai, giudici bolognesi, oltre ad essere delle persone molto esperte di diritto, coltivavano anche l'amore per la poesia. Questo spiega l'importanza straordinaria dei memoriali bolognesi per la documentazione della poesia duecentesca, proprio perché la conservano. Non ci sono mai indicazioni di autori nelle poesie, sono tutte riportate in forma anonima poiché l'eventuale nome proprio poteva creare delle confusioni con i nomi del documento, quindi era proprio una convenzioni il fatto di riportare questi testi in forma assolutamente anonima per non creare, non generare, fraintendimenti. Quello che importa notare è che questo capitolo centrale che precede la canzone "Donne ch'avete intelletto d'amore" è quando appunto Dante dice di questa "Nova materia", di essere come uno scriba pervaso da questa ispirazione divina, questo fatto di attingere ad un nuovo stile, a questo poesia della loda suona come autocelebrazione. Di questo Dante è sempre estremamente consapevole. Accompagna la poesia altissima, sublime per Beatrice e implicitamente è la poesia di chi canta Beatrice e celebrazione di colui che canta Beatrice e quindi è una forma di autocelebrazione. Questa poesia alta, sublime, questo nuovo stile, questa nuova materia di cui ci parla Dante nella Vita Nuova usa uno strumento che è la lingua volgare. Il grande dilemma, il perno di tutta la riflessione linguistica ma anche letterale di Dante ruota intorno ad una opposizione che è quella tra latino e volgare. Dunque Dante incessantemente riflette per trovare argomentazioni, ragioni, elementi che giustifichino tale livello della poesia amorosa dalla "Vita Nuova" al trattato filosofico-dottrinale del Convivio, deve trovare argomenti per giustificare l'uso di una lingua volgare. Il rapporto tra volgare e latino in Dante è un rapporto che si pone in un agonismo radicale e il ragionamento di Dante procede per gradi proprio per trovare fondamenti speculativi, filosofici, alla sua scienza della lingua. Non c'è nessuno come Dante che abbia contribuito a questa consacrazione della lingua volgare, opera dopo opera, le ragioni che avvalorino la sua scelta e la sua fiducia nella lingua naturale. Il primo confronto che si traduce poi in un riconoscimento di pari dignità tra l'uso della lingua latina e quella volgare si ha proprio nella Vita Nuova laddove si viene a parlare della differenza, del fatto che la poesia è innanzitutto poesia d'amore; la poesia nasce in quanto è poesia d'amore; viene anche a dirci che ai poeti è consentita una maggiore libertà rispetto ai prosatori. L'uso di una lingua naturale, di una lingua volgare è una scelta obbligata dal'uso: la poesia d'amore si rivolge alle donne; ora le donne non sono "litterate", non sanno il latino e dunque che la poesia a loro indirizzata non può essera altro che una poesia in volgare. Dante ha una conoscenza, un struttura determinata, tanto che a Dante si deve la proprietà di indicatore delle coordinate storiografiche che sono tuttora valide in quanto conosce perfettamente le coordinate spazio-temporali della nascita della poesia romantica, la colloca nella lingua d'oc, nella lingua provenzale che spiegherà meglio nel De Vulgari Eloquentia, dopo un certo numero di anni, 150 dirà Dante, nascerà la poesia lirica anche in Italia. Questa affinità di tema, la poesia nasce come poesia d'amore, ecco che su questo piano Dante riconasce un'affinità con una poesia latina e dunque sostiene la sostanziale parità tra la poesia latina lirica e la poesia volgare: "A cotale cosa dichiarare, secondo che è buono a presente, prima è da intendere che anticamente non erano dicitori d'amore in lingua volgare, anzi erano dicitori d'amore certi poete in lingua latina; tra noi, dico, avvegna forse che tra altra gente addivenisse, e addivegna ancora, sì come in Grecia, non volgari ma litterati poete queste cose trattavano. E non è molto numero d'anni passati, che appariro prima questi poete volgari; ché dire per rima in volgare tanto è quanto dire per versi in latino, secondo alcuna proporzione. E segno che sia picciolo tempo, è che se volemo cercare in lingua d'oco e in quella di sì, noi non troviamo cose dette anzi lo presente tempo per cento e cinquanta anni": si potevano solo scrivere in lingua latina. E la cagione per che alquanti grossi ebbero fama di sapere dire, è che quasi fuoro li primi che dissero in lingua di sì. E lo primo che cominciò a dire sì come poeta volgare, si mosse però che volle fare intendere le sue parole a donna, a la quale era malagevole d'intendere li versi latini. E questo è contra coloro che rimano sopra altra matera che amorosa, con ciò sia cosa che cotale modo di parlare fosse dal principio trovato per dire d'amore". Si affaccia per la prima volta (poi più volte ripresa) la polemica contro la vecchia scuola, la scuola di coloro che rimano di altro oltre che di amore intendendo Guittone D'Arezzo, Bonagiunta da Lucca che da lui sono bollati, non è menzionato Guittone ma si capisce chiaramente, perchè la polemica con Guittone è presentissima sia nel De vulgari che nella Commedia. La prospettiva di Dante all'interno della Vita Nuova dove comunque questo problema del rapporto tra latino e volgare è molto avvertito secondo un'ottica parziale, a Dante interessa solo stabilire questa pari dignità tra il cantare d'amore in latino e cantare d'amore in lingua volgare. L'opera è giovanile, come dice Dante nel Convivio, opera "fervida e passionata", scritta tra il 1293-95.
(Sono solo APPUNTI, sbobinando dei file audio delle lezioni: mi scuso in anticipo per errori o per parti prive di significato)
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