CONVIVIO e DE VULGARI ELOQUENTIA
Con le due altre opere fondamentali successive siamo già nel periodo dell'esilio, sono opere di maturazione del pensiero, molto più argomentate, molto più sistematiche. Con il Convivio e il De Vulgari il problema del rapporto tra volgare e latino è l'oggetto vero della narrazione. La difesa del volgare che fa in queste due opere si appoggia ad argomentazioni molto più profonde, maggiormente argomentate. Entrambe le opere sono assolutamente incomplete, incompiute. Il De Vulgari in maniera particolare viene interrotto a metà di un periodo: comprende 2 libri, è un trattato molto breve, e si interrompe bruscamente a metà di un periodo al capitolo 14°: "et alia decenti prolixitate passim veniant ad extremum ..." e giungevano a poco a poco verso la conclusione con una lunghezza decorosa...
Il Convivio è un'opera incompiuta, ci rimangono 4 libri: il primo è un trattato proemiale, di introduzione. Gli altri 3 trattati sono scritti a commento di canzoni di contenuto dottrinario-filosofico. Il secondo trattato commenta la canzone "Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete", il terzo trattato la canzone "Amore che nella mente mi ragiona", nel quarto trattato "Le dolci rime d'amor che io solìa". Il De Vulgari nella sua metrica, nella suo disegno sarebbe dovuto essere formato da 4 libri. Il Convivio avrebbe dovuto essere commento a ben 14 canzoni, Dante ne accoglie 3, ne commenta 3 e quindi sono ampiamente incompiuti. Le date di composizione, siamo già nel periodo dell'esilio, sono: Convivio 1303-06/07, viene interrotto quando Dante si accinge a scrivere la Commedia, a ridosso dell'inizio della scrittura della Commedia e molto probabilmente egli scrive il Convivio, i primi 3 trattati del Convivio, e nell'intervallo, prima del 4° trattato scrive il De Vulgari. Quindi anche col De vulgari eloquentia siamo nel 1304-05 e dunque poi scriverebbe l'ultima parte del Convivio. Il Convivio, rispetto a questi timidi accenti che si leggono nella Vita Nuova a difesa e divulgazione del volgare, è una delle più alte celebrazioni della lingua naturale, è una difesa veramente appassionata, poi lo sarà anche il De vulgari. Ha composto delle canzoni di argomento filosofico-dottrinale e le vuole commentare, vuole offrire questo commento e lo scrive in volgare; deve giustificare il fatto di usare per un commento, quindi per una spiegazione di alto livello, con una prosa molto matura non la prosa esile, molto poetica, della Vita Nuova, ma una prosa che sia di stampo argomentativo; deve usare una lingua, fino al momento di Dante, ancora acerba che non aveva mai sperimentato mai un settore, un ambito di questo genere. Tutto il primo trattato è dedicato alla sua autodifesa, lui scrive il commento nella stessa lingua in cui ha composto le poesie. Le ragioni della difesa del volgare sono fondamentalmente 3, una più importante dell'altra: innanzitutto per un principio di coerenza, non si può, dice Dante, usare per un commento una lingua "E da ciò brievemente lo scusano tre ragioni, che mossero me ad eleggere innanzi questo che l'altro: l'una si muove da cautela di disconvenevole ordinazione; l'altra da prontezza di liberalitade; la terza da lo naturale amore a propria loquela"
Il latino è più nobile, bello e virtuoso. Il latino è perpetuo e non corruttibile, il volgare è non stabile e corruttibile. Il latino è una lingua incorruttibile. Il latino è lingua atta ad esprimere dei concetti antichi, cosa che fino al momento di Dante era ad appannaggio del volgare.
E' un'affermazione straordinaria quella di Dante: egli, per primo, teorizza, sostiene il principio linguisticamente sensibile che le lingue naturali mutano incessantemente, mutano, come dirà nel De Vulgari, nel tempo e nello spazio. Questo è un principio affermato con estremo vigore da Dante che pone un presupposto, dal punto di vista linguistico, ELEGGIBILE? Le lingue naturali mutano incessantemente. Perchè mutano i costumi, come dirà meglio nel De Vulgari, muta l'animo degli uomini. Ma perchè il latino non muta e d è perfetto, incorruttibile? Il latino, per Dante, è una lingua artificiale, che non è stata mai parlata. E' una lingua creata a lavorio dei dotti per ovviare alla corruttibilità delle lingue naturali. Dante non ha idea, non ha la nozione della affinità genetica, della discendenza genetica delle lingue romanze dal latino. La lingua latina, che lui chiama "Gramatica", è una lingua artificiale: chiaro riferimento all'esperanto, sono lingue artificiali, create dai dotti a tavolino, essendo una lingua artificiale, non muta. In Dante è forte questo desiderio di divulgazione
Il pane degli angeli è il pane del commento che accompagna la vivanda delle canzoni; lo esprime anche il titolo dell'opera: si parla di una sorta di "Agape", l'immagine di un banchetto. Le canzoni (la vivanda) sono accompagnate da questo pane il quale è come macchiato, la metafora parla di "maculato", segnato da questo "macula". E' un pane fatto non di biada ma frumento ma di una farina più grossolana, non setacciata. Il desiderio di Dante è quella di scrivere in una lingua intesa da tutti e anche qui Dante ha un'intuizione straordinaria: la poesia è intraducibile, pensiero che tra l'altro era stato espresso già dal traduttore in latino della Bibbia, Girolamo. La poesia è intraducibile e dunque il latino non può tradurre le canzoni, sarebbe come togliere, sottrarre molto del loro significato "...però sappia ciascuno che nulla cosa per legame musaico armonizzata si può de la sua loquela in altra transmutare sanza rompere tutta sua dolcezza e armonia". Quando si traduce la poesia si riscrive, ma la poesia è intraducibile. La seconda grande ragione a difesa della sua scelta del volgare è la "prontezza di liberalitade", ciò questo suo compito, questa sua missione che lui avverte profondamente, di giovare ai più, di inoculare il sapere e di favorire un innalzamento culturale. Il libro primo è un'appassionatissima difesa della sua scelta; al capitolo IX dice: "...ma lo volgare servirà veramente a molti. 5. Chè la bontà de l'animo, la quale questo servigio attende, è in coloro che per malvagia disusanza del mondo hanno lasciata la litteratura a coloro che l'hanno fatta di donna meretrice; e questi nobili sono principi, baroni, cavalieri, e molt'altra nobile gente, non solamente maschi ma femmine, che sono molti e molte in questa lingua, volgari e non litterati", capiscano la lingua volgare ma non parlano: ecco perchè Dante vuole fare, attraverso la sua opera, un'opera di altissima divulgazione e allargare anche a chi il latino non lo sa. L'ultima ragione è la più profonda, quella di una difesa appassionata, con accenti profetici, è "lo naturale amore per la propria locuela", un naturale amore per la propria lingua che gli fanno affermare la sua consapevolezza di avere lui le doti, le qualità per dimostrare la potenza, la forza, il vigore della lingua volgare, cioè di poter, Dante stesso, mostrare la potenzialità della lingua volgare (la prosa italiana esisteva prima di Dante, esisteva prima della Vita Nuova, esisteva la prosa di stampo didascalico e narrativo, ad esempio "Il novellino"; certo che la dignità della prosa italiana con Dante fa un balzo, la prosa italiana conosce, attraverso la sua opera, una robustezza, una capacità di stampo argomentativo-logico che fino ad allora era assolutamente sconosciuta. A questo proposito Dante attribuisce a se stesso la capacità di mostrare la straordinaria potenzialità di questa lingua: "...quello elli di bontade avea in podere e occulto, io lo fo avere in atto e palese ne la sua propria operazione, che è manifestare conceputa sentenza". L'ultimo capitolo è ricco di temi appassionati, qui sostiene che la prosa, meglio ancora della poesia, può spiegare, può ad arrivare ad affrontare temi molto alti, perché la poesia è un po' condizionata dalle accidentali artifici legati alla poesia, mentre la prosa non è tenuta di adoperare. La prosa può ancor meglio della poesia può manifestare, imprimere dei concetti alti. "la gran bontade del volgare di sì [si vedrà]; però che si vedrà la sua vertù, sì com'è per esso altissimi e novissimi concetti", Dante usa sempre questo linguaggio anche superlativo "altissimi" e "novissimi" quando parla di lingua, che poi è sempre una giustificazione della sua opera; "convenevolmente, sufficientemente e acconciamente, quasi come per esso latino", si avvicinerà quasi allo stesso livello del latino. "a quale non si potea bene manifestare] ne le cose rimate, per le accidentali adornezze che quivi sono connesse, cioè la rima e lo ri[tim]o e lo numero regolato: sì come non si può bene manifestare la bellezza d'una donna, quando li adornamenti de l'azzimare e de le vestimenta la fanno più ammirare che essa medesima": ecco la naturalità da una parte e la artificiosità dall'altra. Una donna ben agghindata, una donna così curata non può misurare il grado di naturalità. "Onde chi vuole ben giudicare d'una donna, guardi quella quando solo sua naturale bellezza si sta con lei, da tutto accidentale adornamento discompagnata: sì come sarà questo comento, nel quale si vedrà l'agevolezza de le sue sillabe, le proprietadi de le sue co[stru]zioni e le soavi orazioni che di lui si fanno; le quali chi bene agguarderà, vedrà essere piene di dolcissima e d'amabilissima bellezza", da notare, in questa appassionata difesa del volgare, la quantità di superlativi, proprio questa fede, questa condizione così profonda, così alta e che quindi il registro anche emotivo, il pathos, del suo discorso è alto, dato che è frequentissimo l'uso di superlativi, che esaltano lo scritto. Questo naturale amore per la propria locuela è contornato da altre nobilissime ragioni: il fatto che in questa lingua i suoi genitori si sono incontrati e l'hanno generato, il fatto che ha ricevuto ogni genere di beneficio da questa lingua, che l'avviato alla scienza, al sapere, allo studio del latino e, altra ragione di questo naturale amore, è la concordia di studi in quanto Dante che ha poetato in volgare ha contribuito alla stabilità, e dunque alla bellezza, alla conservazione, della lingua volgare. Egli dà un nome secondo la scolastica, secondo l'etica aristotelica, che hanno a che vedere con la sua autobiografia. Il fatto che in questa lingua egli è stato generato e cresciuto, è stata la lingua che l'ha avviato al sapere e alla scienza e dunque anche alla vita. Con la sua opera egli ha contribuito alla stabilità della lingua stessa.
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