ottobre 27, 2012

La nascita della lingua italiana

E' notorio che l'italiano derivi dal latino. Ma quale latino? Ne è esistito solo uno? Ebbene, no; a Roma si parlava una lingua a diversi livelli (come avviene ancora oggi, peraltro): culturale, sociale, economico e politico. Quello sopravvissuto fino ai giorni nostri, parlato per molto tempo ancora dopo la caduta dell'impero da scrittori, uomini di legge, notai, politici, ecc., conservato e usato per secoli nelle omelie, parlato ancora oggi in Vaticano e studiato nei licei, è il latino classico degli scrittori del periodo detto aureo.
Il latino parlato a corte, da imperatori e nobili, in senato o nei tribunali, era diverso da quello parlato dai gladiatori, dal popolo o dagli schiavi; differeriva da quello che si parlava attorno alle campagne dell'urbe, tanto più ci si allontanava dal centro, nelle periferie e nelle molte colonie conquistate in un'area ampia che corrisponde alla odierna Europa, benché i confini del magnificente impero arrivassero ben oltre, fino all'area  balcanica, alla Grecia, alla Turchia e al nord Africa.
Con la caduta dell'impero, poi, la nostra penisola, è diventata terra di conquista da parte di numerosi popoli provenienti (ma non solo) dal nord Europa i quali, mischiandosi con la popolazione ne hanno inevitabilmente influenzato la lingua.
Si distinsero due ceppi linguistici: il latino scritto (sermo doctus), colto degli eruditi, rimase per molti secoli la lingua della cultura e dei dotti (fino al 1963); quello parlato quotidianamente dal volgo (sermo vulgaris).
La Chiesa ebbe un ruolo non indifferente nella diffusione della lingua: se da una parte, attraverso gli amanuensi e i monaci medievali, il latino veniva conservato e mantenuto vivo, non potendo, proprio per la sua funzione  universale, permettersi distinzioni tra conquistatori e conquistati o di ordine sociale, dall'altra seppe cogliere rapidamente le mutazioni linguistiche del popolo cosicché, nei sermoni, i sacerdoti cominciarono a usare sempre più spesso il volgare per essere compresi da tutti.
Attraverso il ritrovamento di documenti, iscrizioni, affreschi, si può stabilire il periodo in cui il latino parlato, seppur lentamente, ha iniziato a involgarirsi.

 


1) La primissima testimonianza di deterioramento del latino risale al 79 d.p., durante l'eruzione del Vesuvio che distrusse Ercolano e Pompei, ed è proprio un'iscrizione pompeiana:
QUISQUIS AMA VALIA PERIA QUI NOSCI AMARE/ BIS TANTI PERIA QUISQUIS AMARE VOTA 
(In latino sarebbe:  "Quisquis amat valeat, pereat qui nescit amare; / bis tanti pereat quisquis amare vetat", ovvero "Evviva chiunque ama, muoia chi non sa amare; muoia due volte chi si oppone all'amore").

 

2) CATACOMBE DI COMMODILLA, Roma (tra il VI-VII secolo e la metà del IX)
È la più antica attestazione di uno scritto in volgare e si trova in una cripta dedicata al culto dei santi Felice e Adautto.



"NON DICERE ILLE SECRITA A BBOCE"
















 



Trad.: « Non pronunciare le (parole) segrete a voce (alta) », ovvero: Non si prega a voce alta.


















3) Risale al 700 l'Appendix Probi,  una lista di 227 vocaboli dettati correttamente, a scopo didattico, da un maestro ai suoi allievi, ritrovati a Bobbio e, oggi, conservata nella Biblioteca Nazionale di Napoli.



  1. speculum non speclum
  2. masculus non masclus
  3. vetulus non veclus
  4. vitulus non viclus
  5. columna non colomna
  6. formica non furmica
  7. musivum non museum
  8. barbarus non barbar
  9. pauper mulier non paupera mulier
  1. calida non calda
  2. frigida non fricda
  3. vinea non vinia
  4. tristis non tristus
  5. turma non torma
  6. caelebs non celeps
  7. ostium non osteum
  8. Flavus non Flaus
  9. cavea non cavia
  1. lancea non lancia
  2. auris non oricla
  3. facies non facia
  4. cautes non cautis
  5. plebes non plevis
  6. oculus non oclus
  7. aqua non acqua
  8. vico capitis Africae non vico caput Africae
  9. persica non pessica
  1. auctor non autor
  2. persica non pessica
  3. auctor non autor
  4. auctoritas non autoritas
  5. ipse non ipsus
  6. linteum non lintium
  7. viridis non virdis
  8. Februarius non Febrarius
  9. idem non ide




























4) L'INDOVINELLO VERONESE (VIII-IX sec. d.c.)


"Se pareba boves, alba pratalia araba, albo versorio teneba et negro semen seminaba".
Trad.:Teneva davanti a sé i buoi, arava bianchi prati, e un bianco aratro teneva e un nero seme seminava 
Pareba: significa "spingeva i buoi col pungolo": è voce dialettale ancora in uso in Veneto. Nei verbi "pareba", "araba", "teneba", "seminaba" è caduta la T della desinenza latina della terza persona singolare (parebat, arabat...)
Versorio: anche "versór", cioè aratro, è voce ancora viva nelle campagne del Veneto. 
Soluzione dell'indovinello

Teneva davanti a sé i buoi
-le dita della mano.
arava bianchi prati
-le pagine bianche di un libro.
e aveva un bianco aratro
-la penna d'oca, con cui si era soliti scrivere.
e un nero seme seminava
-l'inchiostro, con cui si scrivono le parole.
Ovvero: l'atto dello scrivere da parte dello stesso amanuense

  

5) 
In Francia, l'involgarimento del latino è attestato in anticipo rispetto all'Italia, nell'842 I giuramenti di Strasburgo i figli di Ludovico il Pio, Carlo il Calvo (francese) e Ludovico il Germanico, si giurano fedeltà di reciproca allenza impegnandosi a non stringere patti con Lotario I (imperatore e loro fratello); Carlo giurò in alto-germanico, per meglio farsi comprendere dalle truppe di Ludovico, mentre quest'ultimo lo fece nella lingua del fratello, il proto-francese.

TESTO DEI GIURAMENTI  

(Una parte del Giuramento)

Ludovico (in volgare romanzo francese): Pro Deo amur et pro christian poblo et nostro commun salvament, d'ist di in avant, in quanto Deus savir et podir me dunat, si salvarai eo cist meon fradre Karlo et in aiudha et in cadhuna cosa, si cum om per dreit son fradra salvar dift, in o quid il mi altresi fazet et ab Ludher nul plaid nunquam prindrai, qui, meon vol, cist meon fradre Karle in damno sit.
Trad: Per l'amore di Dio e per il popolo cristiano e per la nostra comune salvezza, da qui in avanti, in quanto Dio mi concede sapere e potere, così aiuterò io questo mio fratello Carlo e in aiuto e in qualunque cosa, così come è giusto, per diritto, che si aiuti il proprio fratello, a patto ch'egli faccia altrettanto nei miei confronti, e con Lotario non prenderò mai alcun accordo che, per mia volontà, rechi danno a questo mio fratello Carlo.
Carlo (in volgare germanico): In Godes minna ind in thes christianes folches ind unser bedhero gehaltnissi, fon thesemo dage frammordes, so fram so mir Got gewizci indi mahd furgibit, so haldih thesan minan bruodher, soso man mit rehtu sinan bruher scal, in thiu thaz er mig so sama duo, indi mit Ludheren in nohheiniu thing ne gegango, the minan willon, imo ce scadhen werdhen.
Trad: Il giuramento è praticamente identico a quello di Ludovico; cambia solo la formula «questo mio fratello Carlo» (cist meon fradre Karlo) e Carlo dice solamente «questo mio fratello» (thesan minan bruodher).
Esercito di Carlo (in volgare romanzo francese): Si Lodhuvigs sagrament que san fradre Karlo jurat conservat et Karlus, meos sendra, de suo part non l'ostanit, si io returnar non l'int pois, ne io ne neuls cui eo returnar int pois, in nulla aiudha contra Lodhuwig nun li iu er.
Trad: Se Ludovico mantiene il giuramento fatto a Carlo e Carlo, mio signore, da parte sua non lo mantiene, se io non posso da ciò distorglierlo, né indurre qualcuno a farlo, non gli sarò di nessun aiuto contro Ludovico.
Esercito di Ludovico (in volgare germanico): Oba Karl then eid then er sinemo bruodher Ludhuwige gesuor geleistit, indi Ludhuwig, min herro, then er imo gesuor forbrihchit, ob ih inan es irwenden ne mag, noh ih noh thero nohhein, then ih es irwenden mag, widhar Karle imo ce follusti ne wirdoohg.
Trad: La formula è praticamente identica a quella dell'esercito di Carlo; cambia solo la formula «Carlo, mio signore» (Karlus, meos sendra) in «Ludovico, mio signore» (Ludhuwig, min herro).





6)  PLACITI CAPUANI (960-963)




« Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti. »

(Capua, marzo 960)
Trad.:  So che quelle terre, entro quei confini di cui si parla (in queste carte descritte), li ha posseduti per trent’anni l’abbazia di San Benedetto
 Questa iscrizione ricordava al celebrante di non recitare a voce alta quelle preghiere della messa, dette secrete, i cosiddetti mysteria secondo la formula greco-latina, che secondo la liturgia devono essere pronunciate a bassa voce in quanto parole sacre dirette esclusivamente a Dio e non all'assemblea.[3]
Dal punto di vista linguistico si nota l'uso della forma dell'imperativo negati­vo non dicere che deriva dal classico noli dicere (l'alternativa è ne dicas o ne dixeris, con il congiuntivo esortativo), mentre dicere si è conservato anche come forma volgare per tutto il Medioevo.
Il pronome ille assume qui valore di articolo femminile plurale, mentre secrita deriva dal classico neutro plurale secreta; a bbo­ce, dal latino ad vocem, presenta la caduta delle consonanti finali, un raddoppiamento fonosintattico e un betacismo, cioè la trasformazione della v in b.

« Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe monstrai, Pergoaldi foro, que ki contene, et trenta anni le possette. »

(Sessa, marzo 963)

« Kella terra, per kelle fini que bobe mostrai, sancte Marie è, et trenta anni la posset parte sancte Marie. »

(Teano, ottobre 963)

« Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe mostrai, trenta anni le possette parte sancte Marie. »

(Teano, ottobre 963)
Il più famoso, il primo, è un giuramento pronunciato in seguito ad una controversia relativa al possesso di alcuni terreni, tra l'abate di Montecassino (Aligerno) e il nobile Rodelgrimo di Aquino. Il giudice Arechisi a Capua emette la sentenza in favore del monastero, basandosi, in mancanza di altre prove, sul giuramento in volgare di tre testimoni procurati dall'abate, i quali confessarono il regolare possesso, dopo trent'anni, delle terre da parte del monastero (usucapione). La formula che il testimone doveva pronunciare per il giuramento solenne di fronte al giudice è scritta in volgare, affinché fosse comprensibile ai testimoni stessi, che provenivano dalle campagne.




7)  ISCRIZIONE DI SAN CLEMENTE E SISINNIO (XI secolo, cioè intorno al 1100, Basilica di San Clemente al Laterano, Roma)


















Nella parte bassa dell'affresco si legge:



Sisinium: «Fili de le pute, traite, Gosmari, Albertel, traite. Falite dereto co lo palo, Carvoncelle!» San Clemente: «Duritiam cordis vestris, saxa traere meruistis». 

Trad.: Sisinnio: «Figli di puttana, tirate! Gosmario, Albertello, tirate! Carvoncello, spingi da dietro con il palo» Clemente: «A causa della durezza del vostro cuore, avete meritato di trascinare sassi».

Rappresenta il patrizio Sisinnio nell’atto di ordinare (in volgare) ai suoi servi (Gosmario, Albertello e Carboncello) di legare e trascinare san Clemente (nel frattempo trasformatosi in una colonna di marmo) il quale replica in latino.


Per approfondire: http://www.luzappy.eu/testi_volgare/docu_volgare.htm

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