La parola
ciao (
IPA:
['tʃaːo]) è una forma di saluto amichevole ed informale della
lingua italiana, usata sia nell'incontrarsi, che nell'accomiatarsi (in quest'ultimo caso, talvolta, si usa raddoppiato, ovvero "ciao ciao").
Non è prevista nel bon ton[senza fonte]. "Fare ciao" è l'espressione con cui ci si riferisce ad un gesto di saluto informale ottenuto
agitando la mano.
Etimologia
Trae la sua origine dalla parola della
lingua veneta e più specificatamente veneziana "s'ciavo" che ha il significato di "schiavo",
[1] derivando dal neolatino
"sclavus",
che indica persone di etnia slava frequentemente usate proprio come
schiavi nell'intero mondo mediterraneo, venduti spesso dalle stesse
famiglie ai mercanti veneziani o arabi. Venivano "importati" nella
Spagna musulmana, Egitto, Asia minore e in occidente (in quest'ultimo
caso solo quelli non cattolici) passando per Venezia.
Salutare con un
ciao corrisponderebbe quindi a "Servo Vostro", formula di saluto oramai desueta (cfr. l'analogo saluto "
servus", diffuso in
Austria e
Baviera). Questo saluto era usato senza distinzione di classe sociale.
Il termine originale
s'ciào esiste ancora nel
Veneto, usato come esclamazione o per esprimere rassegnazione, e nel
dialetto lombardo e
ticinese,
per esprimere sollievo per uno scampato guaio, oppure per intendere
"sono tuo schiavo", modo grossolano per dire di essere a disposizione
verso l'
interlocutore.
L'uso della parola "ciao" nelle altre lingue
La parola si è diffusa per il mondo a seguito delle migrazioni degli
italiani, ed è entrata come saluto informale anche nel lessico di
numerose altre lingue, quasi sempre unicamente per il commiato.
Questa sezione elenca alcuni casi in cui la parola "ciao" o parole
derivate da essa sono entrate nel lessico informale di altre lingue. Per
le traduzioni di "ciao" nelle altre lingue, si veda il
Wikizionario.
- albanese: çao/qao;
- bosniaco: ćao[2];
- bulgaro: чао (čao, più usato nel commiato);
- ceco: čau (sia nell'incontro che nel commiato)[3];
- esperanto: ĉaŭ (più usato nel commiato; raramente nell'incontro);
- estone: tšau (sia nell'incontro che nel commiato);
- francese: ciao o tchao (nel commiato);
- interlingua: ciao (nel commiato);
- lettone: čau (sia nell'incontro che nel commiato)[3];
- lituano: čiau (più usato nel commiato; raramente nell'incontro);
- macedone: чао (čao, nel commiato);
- maltese: ċaw (nel commiato); anche ċaw ċaw (nel commiato);
- portoghese: tchau (nel commiato); in Portogallo, si usa anche chau chau; in Brasile, si usa anche la forma diminutiva tchauzinho[4];
- rumeno: ciao o raramente ciau (più usato nel commiato; raramente nell'incontro);
- russo: чао (čao, nel commiato); si usa anche uno scherzoso чао-какао;
- serbo e croato: ћао o ćao (sia nell'incontro che nel commiato), usato anche ћаос о ćaos;
- slovacco: čau (più usato nel commiato; raramente nell'incontro);
- sloveno: čau (sia nell'incontro che nel commiato); anche čau čau (nel commiato);
- spagnolo, specialmente in America Latina, ma anche in Spagna, nel linguaggio giovanile: chao o, più raramente chau (usato soprattutto nel commiato);
- tedesco: tschüs, ciao (entrambi nel commiato)[5];
- turco: çav (nel commiato)[6];
- vietnamita: chào (sia nell'incontro che nel commiato)[7].
Da Supereva:
http://guide.supereva.it/lingua_russa/interventi/2002/05/103142.shtml
La parola slavo è un punto di arrivo o di partenza?
Da dove arrivano gli Slavi? O meglio, che cosa
significa la parola slavo? L' etimologia è tuttora misteriosa, e ha dato
origine a varie accezioni. E a derivazioni più o meno curiose.

Osservando il
legame molto stretto tra vita quotidiana e mondo religioso delle origini, si nota che il termine
slavo appare in molti nomi propri quali
Jaroslav, Svjatoslav, Rostislav, composti nella loro prima parte da un etimo che evoca le
divinità pagane.
Slav significherebbe
devoto a.
Un’altra ipotesi è l’
etimologia geografica, che si basa sul fatto che gli Slavi fossero gli abitanti più antichi delle
piane fangose dell’Europa orientale: quindi il termine slavo non sarebbe che la semplice deformazione della radice
skloak/Sklav (da cui
Sclaveno) equivalente del latino
cloaca
(acquitrino, canale di scolo): è il classico trasferimento del nome del
luogo al popolo residente in linea con quanto occorso ad altre tribù
slave. L’ipotesi geografica prevede anche un’eventuale derivazione dal
fiume Dnepr, che nella letteratura russa antica veniva definito
Slovutich, forse emanante dalla medesima radice sottesa alla parola greca che indica la
risacca o anche il
lavarsi e al verbo latino
cluo (
io risciacquo) da cui cloaca.
I
linguisti hanno avanzato anche che slavo possa derivare da
slovo,
parola, cioè andrebbe a designare
coloro che parlano le stesse parole. La connessione di
slavo e
slovo è quasi automatica, tanto più che numerose tribù conservarono a lungo denominazioni vicine ai due termini in questione: gli
Sloveni al nord-ovest e a sud di Novgorod, Russia; gli
Slovinci in Pomerania e gli
Slovacchi nel territorio attuale.
Infine l’ipotesi
nazionalista, che connette
slavo a
slava. la
gloria. Gli
slavofili entusiasti dei secoli XVIII e XIX si rifanno a una tradizione lanciata nel XIV secolo alla corte del grande
Carlo IV di Boemia e alimentano il movimento del
panslavismo.
Il messianismo caro al cuore dei Russi non poteva che esserne
gratificato, e questo vale anche per gli slavofili contemporanei, alla
Solzhenicyn o alla
Michalkov.
Sicura invece è l’etimologia della parola
schiavo (e dell’italiano
ciao, da
s-ciao, contrazione dai dialetti veneti). Indica l’ampiezza dell’
asservimento degli slavi settentrionali. Nel
latino medievale del secolo XIII, il vocabolo
sclavus è calco diretto su
slavus/sklavus, cioè slavo. Nella forma
sklavus, o più esattamente
sklavos, deriverebbe dal
greco bizantino e corrisponderebbe al generico
Sklavenes, appellativo con il quale gli storici dell’impero d’Oriente del
secolo VI designavano gli Slavi che, varcato il Danubio, iniziavano a infiltrarsi nella penisola balcanica.
Assai rapidamente e in tutti i paesi europei un etnonimo si mutò in
sinonimo di popolo asservito, tanto più che l’accoglimento del termine
sclavus
nelle lingue medievali venne facilitato dall’universale considerazione
degli Slavi, ritenuti all’epoca gli schiavi per eccellenza. Passato
allora a indicare uno stato giuridico in sostituzione di
mancipium e di
servus, da
sclavus sono discesi lo spagnolo
esclavo, il portoghese
escravo, il catalano
scrau, il francese
esclave, il tedesco
Sklave, l’olandese
slaaf…
Nel secolo X l’imperatore e storico
Costantino VII Porfirogenito stabilì la seguente equazione: il nome dei
Serbi (
Serbos in greco) non era che un epiteto che indicava l’asservimento della tribù ad opera degli
Avari nel secolo VI.
Tanti adattamenti e in tanti paesi fanno comprendere come
attraverso i secoli carovane di Slavi deportati percorressero il
continente europeo,
linfa di un commercio che nell’alto Medioevo interessò ogni mercato:
Venezia, Lione, Verdun, Ratisbona, Praga e Kiev…E schiavi di stirpe
slava s’incontreranno in Italia ancora el secolo XVII! Le
zone di schiavizzazione furono svariate, oltretutto dopo la conversione dei Sassoni furono gli Slavi pagani a sostenere il mercato, in quanto il
Concilio di Meaux (845) proibiva la vendita di merce cristiana a infedeli.
D’altro canto le lotte incessanti tra i principi slavi non facevano
accrescere il numero dei prigionieri di guerra, dunque degli schiavi,
così come le endemiche carestie. Il commercio degli schiavi, sebbene
avesse decimato le popolazioni slave, aprì loro
spazi sconosciuti. Fino alla punta estrema del nostro continente, la Spagna, e, dal secolo VIII, anche l’Africa.