Ogni 27 gennaio ringrazio di essere un semplice insegnante di Sala-Bar e non di Lettere, o altra materia che mi obbligherebbe moralmente a discutere di questo argomento in classe a dei ragazzini, spesso disinteressati, pieni di pregiudizi dovuti al proprio background. Sarebbe davvero difficile parlare di un fatto così tragico senza suscitare reazioni che potrebbero di certo infastidirmi, soprattutto in tempi in cui il "Negazionismo" da bar dello sport va così di moda.
Mi vengono i brividi solo al pensiero che gli alunni possano dividersi in "pro" e "contro" e accapigliarsi, con un qualunquismo disarmante, proprio come se si fosse nel campetto di calcio dietro casa o come si fa normalmente a "Uomini e Donne" o "Amici"di Maria De Filippi in cui il meno esperto (non so con quali meriti), si sente autorizzato ad esprimere un'opinione sulla base del "sentito dire" e ha il diritto di elargire perle di saggezza a profusione perchè fa parte del "pubblico parlante". Quando in una società si dà più valore all'opinione dell'uomo della strada che a quella dello studioso che senso ha ancora la scuola? Mala tempora currunt...
Obbligare gli alunni a vedere dei filmati sul tema potrebbe poi sortire l'effetto opposto in cervellini bruciati da overdose di violenza causati dalla televisione e della playstation ("Hanno fatto bene ad ucciderli", "Se lo meritavano"). Insomma è un argomento troppo delicato per essere trattato frettolosamente solo il giorno della celebrazione. Anzi non serve a niente.
Durante le superiori mi sono fatto liberamente un'idea sull'Olocausto, nessuno mi ha plagiato, né la famiglia né la scuola, ma autonomamente ho iniziato a vedere i documentari che passavano in televisione, ho scelto di mia spontanea volontà di leggere determinati libri, primo fra tutti "Il diario di Anna Frank" preso in prestito dalla biblioteca di zona, ho scelto, insieme ai miei compagni di quarta, di andare in gita a Monaco di Baviera, gita che prevedeva anche la visita del campo di sterminio di Dachau e così via. Senza costrizioni iniziai durante le superiori, forse per sensibilità o forse per empatia, ad interessarmi della questione. E contemporaneamente compresi che mettersi nei panni dell'altro era una caratteristica fondamentale per la professione che mi apprestavo a svolgere: saper comprendere la sofferenza di qualsiasi essere vivente e avere pietà del prossimo erano due aspetti che facevano parte della sensibilità di ognuno! Oggi con internet è ancora più facile informarsi, farsi un'idea in proposito e, magari, sviluppare questa sensibilità. Se non succede è perchè non si ha la volontà di farlo e si vuole sguazzare nel mare calmo dell'ignoranza. Punto e basta. Non ci sono scuse.
Dopo la visita ai forni crematori di Dachau in quella famosa gita a Monaco di Baviera questo argomento è diventato per me un taboo. Ne parlo mal volentieri e non sopporto di vedere anche solo uno striscione da stadio inneggiare a Hitler o una svastica disegnata su un muro a scuola o quando qualcuno parte con una bella barzelletta sugli ebrei. Lo trovo penoso e mi mette una tristezza addosso infinita. Non c'è niente da ridere.
Chi non ha pietà della morte mi fa ribrezzo e non merita il mio rispetto.
Da qualche anno ho scoperto due importantissime testimonianze video (che ora mi vado a guardare per l'ennesima volta!) e si possono scaricare tranquillamente da emule:
"Suoni dal silenzio", incisivo documentario trasmesso qualche anno fa da RaiTre, e "The last days" di Spielberg, film-intervista agli ebrei ungheresi scampati dai lager e fuggiti in America, meno famoso rispetto all'osannato "Schindler's list, ma di notevole valore. E poi un film che mi rivedo periodicamente, "Il pianista" di R.Polanski.
gennaio 27, 2009
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1 commento:
Gentile Professor Biagio, è possibile avere un suo indirizzo e-mail
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