marzo 15, 2016

Macelleria umana



Sull'omicidio di Luca Varani (come su tanti altri casi di cronaca nera), i giornalisti si sono catapultati a capofitto e ci sguazzano felici da alcuni giorni. Il caso di Roma incuriosisce (anche per il mix perverso: sesso-gay-droga-bravi ragazzi-famiglie ignare) e offre, più di altri, anche e soprattutto sui social, l'occasione di esprimere il nostro parere moralizzatore, di puntare il nostro dito perfetto contro chi ha commesso un crimine disgustoso, di giudicare il prossimo e il mondo con i nostri esclusivi e indispensabili setacci che sanno distinguere perfettamente  il Bene dal Male, risvegliando amori sempre poco sopiti e troppo malcelati per la pena di morte. Sentenziamo: gli assassini "devono marcire in carcere" o "Devono morire". Non ci accorgiamo che sprechiamo (senza minimizzare la gravità dell'atto e la morte del povero giovane Luca) energie su dei casi, esageratamente gonfiati peraltro, minoritari, se si considera che in Italia siamo 60 milioni di abitanti...
Eppure ci attraggono molto. Per quale motivo? Forse perché spaventa profondamente identificarci con le
vittime o, peggio, coi carnefici. Sono come noi, e sono vicino a noi. Vivono, camminano e respirano accanto a noi.
D'altronde non possiamo occuparci delle disgrazie del mondo intero e delle atrocità nei posti lontani o delle persone diverse da noi.
Ps: mi ha colpito la notizia (a dire il vero troppo dettagliata per la mia sensibilità) dell'altro giorno, passata del tutto in sordina,  
riguardo la situazione in Sudan: paese in guerra perenne, assassinio di civili, stupri di massa, anche verso bambini, bambini che vengono impiccati, fatti a pezzi, bruciati vivi o soffocati dentro container privi di ossigeno. Tutto questo nel più completo silenzio.
Ecco, dovremmo finalmente farlo anche noi: rimanere in silenzio. 
E vergognarci.

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