Tornando dalla prova generale de "La traviata" al Teatro Regio di Torino, stasera, un pungente interrogativo si faceva strada nella mia testa: come mai, fin dall'incipit dell'opera gli spettatori hanno anticipato la morte di Violetta con dei colpi di tosse incessanti, prepotenti ed insopportabili, dando l'impressione di essere loro (e non Violetta) a morire di tisi prima della fine dello spettacolo? Non è la prima volta che lo noto. Accadde anche nelle due precedenti produzioni a cui ho assistito, Don Giovanni e Aida. Perché un coro di tosse e schiarimento di catarro vari si levano a teatro nei momenti meno appropriati, soprattutto nelle fasi ascendenti o discendenti delle varie arie? E' estenuante, nonché incomprensibile.
La prova generale è certamente la recita più importante, è vero, ci sono parenti, amici degli attori e dei musicisti, giornalisti, addetti ai lavori, esperti e melomani, tuttavia perché si sente sempre in questo caso, tra le fila di poltrone, una puzza opprimente di capelli sporchi, di vecchio, di casa sporca misto a canfora e naftalina? Meno male che ogni tanto tra le zaffate lancinanti faceva capolino la nuvola del mio profumo, "Parisienne" di Yves Saint Laurent!
Torniamo al melodramma. Allora, parlo ovviamente da profano: essendo la mia prima Traviata mi aspettavo un "Libiamo nei lieti calici" tra stucchi, arazzi, cristalli e tavole apparecchiate alla Gattopardo di Visconti. Avendo poi visto, in immagini di repertorio, le messe in scena barocche di Zeffirelli, mi ha deluso una scenografia alquanto lugubre, piatta, squadrata, potrei dire "moderna". Magari, per chi stasera vedeva la sua ennesima Traviata avrà trovato innovativo lo sfondo. Io no. Ho sperato nel secondo e terzo atto, ma invano. Nel secondo, per riproporre l'atmosfera agreste della casa di campagna è stato aggiunto nel proscenio, su alcuni grossi cubi, del finto prato verde e un albero simil quercia, ben fatto a dire il vero, ma niente più, e, nel coro di "Noi siamo zingarelle", un grosso lampadario ha simboleggiato la festa per il carnevale . Nel terzo, tante lenzuola bianche, a coprire gli immensi cubi di cui sopra, rappresentavano egri talami, di foscoliana memoria. Insomma, con piccoli accorgimenti, si cambiava quadro. Io rimango sempre ancorato ad un teatro di stampo classico, shakespeariano, con il balconcino in "Romeo e Giulietta", il bosco incantato per "Il lago dei cigni", e così via. E' un mio limite, lo so.
La celebre ouverture di Verdi ha visto l'entrata in scena di personaggi nero vestiti, due che reggevano una bara nera e altri con ombrello nero che seguivano il feretro a descrivere un funerale di lì da venire.
Non mi è piaciuta per niente la gestualità dei personaggi, soprattutto della protagonista: il vestito eccessivamente scollacciato e aperto sul davanti da uno spacco vertiginoso
(e per giunta, di colore ciclamino accecante) non ha aiutato il soprano nella ricerca della grazia e dell'eleganza dei movimenti. Anzi, l'attrice si accasciava a terra a più non posso, anche scalza che, per essere un'opera ambientata a metà Ottocento, risulta alquanto inimmaginabile un simile atteggiamento, laddove veniva considerato peccato già solo mostrare la caviglia. Ad un certo punto, nella parentesi bucolica, entra in scena addirittura in pantaloni e con un'improponibile camicia bianca che apriva ansiosamente su un corsetto, come a sventolarla, per farsi aria. Incomprensibile, davvero. Ma chi l'ha detto che "La signora delle camelie" debba essere una gentile, elegante, fragile cortigiana? Non di certo questo regista che l'ha voluta prostituta, sfacciata e volgare.
Per farla breve, una mise en scene a metà strada tra "Alice nel paese delle meraviglie" e un Can Can da Belle Époque non ha convinto; più persuasiva la direzione musicale, forse leggermente rallentata rispetto alla tradizione, e le voci che spiccano per perfezione e chiarezza, tra tutte, quella del coro e della protagonista (quella del primo gruppo ha dato forfait per indisposizione...), Silvia Dalla Benetta, che viene osannata da una cascata di applausi a fine rappresentazione. Un tripudio di "brava" si alza a fine "Addio, del passato", meritatissimo, anche nella recitazione, che qui ha avuto il suo acme.
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