La visione di "Drag me to hell", ieri sera al Warner Village di Beinasco, mi ha lasciato molto perplesso. Film a tinte forti e a tratti splatter, come il sangue impiegato a profusione, i vermi viscidi e bavosi che escono dalle bocche, mosche cangianti blu-verde che entrano nel naso durante il sonno alla protagonista ed escono dalla bocca la sera dopo, un'orbita oculare viva che fa capolino da una fetta di torta, fa molta paura. Non mi succedeva più di spaventarmi così dai tempi del primo esorcista. Il genere horror non è proprio tra i miei preferiti, spesso perchè questi film più che farmi paura mi fanno ridere. Non mi piacciono gli effetti speciali, soprattutto nei film dell'orrore.
Il film in questione ne è quasi privo ed è incentrato sul gioco di ombre, come insegna Murnau, soprattutto nel suo "Nosferatu", della presenza invisibile, delle apparizioni improvvise che incutono terrore...E sarà perché ho sgranocchiato 1 kilo di pop corn, una vaschetta di nachos con salsa al formaggio e poi ho annaffiato il tutto con un litro di coca-cola, ma un dolore alla pancia mi è venuto sul serio!
Christine, la protagonista, impiegata presso un istituto di credito si attira la maledizione (la Lamia) dell'anziana gitana Sylvia Ganush, alla quale rifiuta, umiliandola, una reiterazione di rimborso prestito. Il vero male è rappresentato, in realtà, da una figura di secondo piano, il viscido direttore di Christine che in qualche modo, ricattandola moralmente (la mette alla prova, promettendole una promozione a vice-direttore, per verificare quanto "dura", inflessibile e senza scrupoli possa essere) e lascia a lei la decisione di proroga all'anziana signora che rischia di perdere la casa e finire in mezzo a una strada. Ovviamente la ragazza, da subito, è impietosita e vorrebbe assecondare le richieste della Ganush, ma messa alle strette (il direttore le affianca un collega che potenzialmente potrebbe soffiarle il posto di vice) è obbligata a negare la proroga. Da quel momento iniziano i guai, i veri guai. La scalata alla poltrona di vice-direttore diventa, così, una minuzia. La vera emergenza è salvarsi dai demoni malvagi con sembianze di capra che l'assediano di giorno e soprattutto di notte, da sveglia o nel sonno, lo spirito della vecchia zingara (che nel frattempo muore senza lasciare la possibilità alla protagonista di salvarsi chiedendole perdono) che compare, forse in sogno, nel letto di Christine. Insomma, un vero incubo dal quale è difficile uscire. Capisce, però, che il sortilegio segue un oggetto maledetto dalla Ganush, (il bottone del suo cappotto), e che è sufficiente regalare quel bottone a qualcun altro per trasferire la maledizione. Quindi scava la fossa nel cimitero di notte, sotto una pioggia battente fino a raggiunge la bara della zingara, si riempie di fango, anzi nuota nel fango che ormai riempie la buca, scivola, viene colpita dalla grossa croce di pietra, annega, si risolleva, ma, alla fine, riesce ad infilare il bottone nella bocca della morta per cedere il maleficio.
L'incubo sembra finito, cambio scena e luminosità: mattino, sole, luce, stazione. Christine si incontra, dunque, col fidanzato per partire per un viaggio ristoratore. Eppure tra i binari del treno si apre una voragine che la risucchierà, trascinandola inevitabilmente e per sempre all'inferno. Qualcosa non ha funzionato?
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