aprile 05, 2008

http://it.wikipedia.org/wiki/Olga_Amasio-Cuffini

Olga Amasio-Cuffini (07 luglio 1934 - 03 aprile 2008) è stata fondatrice, insieme a Giuseppina Colombatto, del più importante istituto alberghiero di Torino, per il quale ha offerto la sua professionalità in qualità di insegnante di lettere.


“La Cuffini”, come veniva più comunemente chiamata, è stata molto di più. Se n’è andata due giorni fa in tutta fretta e in punta di piedi, elegantemente, come, d’altronde, ha sempre vissuto.
La Cuffini è stata la mia insegnante di italiano. Oggi sono state celebrate le esequie, e tra i numerosi colleghi che gremivano la chiesa, c’erano diverse generazioni di alunni: Alessandro Ricci, il mio collega, è stato tra gli ultimi ad aver goduto dei preziosi insegnamenti della compianta insegnante.
La professoressa è stata un punto di riferimento nella mia vita anche se non sempre ho avuto buoni rapporti con lei. Era evidente che non le fossi simpatico e, da studente, non ero uno dei suoi preferiti, poiché a stento nelle sue materie arrivavo alla sufficienza. È stata mia insegnate in quarta e quinta, come si sa anni importanti per la preparazione alla maturità. Arrivai in quarta con mediocri conoscenze di italiano e storia. A differenza degli insegnanti che la precedettero la Cuffini si rivelò subito una signora piena di personalità, loquace e, soprattutto, aspetto fondamentale, con una vasta cultura. Era uno spettacolo ascoltarla: ti incantava se parlava degli avvenimenti quotidiani e sapeva rapire l’attenzione se faceva la prosa dei “Sepolcri” di Foscolo, pur se i suoi insegnamenti erano diretti ad alunni di un istituto professionale. Amava tutta la letteratura, ma aveva un debole per Foscolo. Mi ricordo di un aneddoto che ci colpì molto: quando era ragazza, un corteggiatore, per sedurla, le avrebbe declamato “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”. Figuriamoci come noi, allievi di un professionale appunto, disinteressati e poco avvezzi alla cultura, potevamo reagire ad una simile boutade! ridacchiando e dando di gomito al vicino, ovviamente. Eppure a distanza di molti anni, ancora mi ricordo perfettamente come riuscisse a divertire usando una raffinatissima ironia per discutere di letteratura. Di Moravia diceva che era un “ vecchio porco”, probabilmente perché aveva mal digerito la descrizione di Lucia Mondella come “bambola infilzata”. Patteggiava per Elsa Morante e citava spesso il suo libro “La storia” come esempio di romanzo contemporaneo di un certo rilievo. Tutto sommato il giudizio su Moravia della Cuffini, donna cattolica praticante e dal deciso rigore morale, era stato inquinato dalla vita abbastanza dissoluta dello scrittore: divorziò nel 1961 dalla Morante, si legò alla scrittrice Dacia Maraini e sposò Carmen Llera nonostante fosse più giovane di lui di 45 anni!
Sentirla declamare a memoria e con gli occhi chiusi, tanto per fare un esempio, “Canto notturno di un pastore errante dell'Asia” o “Ultimo canto di Saffo” era un’emozione unica. La ascoltavamo in un silenzio quasi surreale: nessuno osava fiatare.
Non avresti mai voluto farti trovare impreparato sui Promessi Sposi”, e così accadeva in genere, a meno che non si volesse vederla andare su tutte le furie. Durante l’interrogazione la professoressa apriva a caso il suo libro, un testo vecchio e quasi senza note che potessero minimamente esserti d‘aiuto, e chiedeva di leggere e commentare l’opera. Ovviamente non dovevi darle l’impressione di leggere le note, perché più leggevi e più il voto si abbassava. Ti andava bene se capivi immediatamente in quale punto del romanzo fosse stato aperto il libro, se iniziassi a raccontare la storia o chi stesse parlando in quel momento, se si trattasse di dialogo o quale dito Don Abbondio tenesse nel breviario, da che parte fosse la rete o il pugnale dei bravi o quanti spilloni avesse Lucia tra i capelli. Insomma, un incubo. Sebbene fosse un’insegnante attenta al nozionismo, una delle poche che ti obbligava a studiare le poesie a memoria, era tuttavia talmente appassionata alla sua materia, come difficilmente mi è capitato di incontrare sia da alunno sia da docente, che è diventata per noi un modello da seguire.
Ci sono stati periodi in cui la odiavo con tutte le mie forze e so solo io quante lacrime versavo quando non raggiungevo la sufficienza. Ci tenevo moltissimo a far bella figura e a non deluderla, più che con qualsiasi altra insegnante. Mi sono affezionato a lei soprattutto grazie alle due gite all’estero che ho fatto nel biennio post-qualifica, nelle quali ho avuto modo di conoscerla meglio: spirito ironico, socievole, piacevole nei discorsi anche in ambiti extrascolastici, tutte qualità che in classe la Cuffini faceva trapelare qua e là per alleggerire le lezioni. Erano gli anni della canzone “Toffee” di Vasco Rossi e i miei compagni dal fondo del bus turistico che ci portava a Salisburgo intonavano, parafrasandola, «Oh Cuffì, Cuffì, Cuffì»; un po’ grezzamente, certo, ma anche loro, come tutti, le volevamo un gran bene.
Era severa, ma riusciva così facilmente ad entrare in relazione con noi ragazzi che non aveva bisogno di rimproverare nessuno, perché nessuno osava prendere iniziative di alcun genere: parlare durante la lezione, sbadigliare, stirarsi, masticare, togliersi una maglia senza chiederglielo, erano azioni che potevi permetterti una sola volta, perché la Cuffini non ti rimproverava se trasgredivi il galateo in classe, ma ti faceva sentire così in imbarazzo che non avresti mai voluto ripetere una seconda volta comportamenti “fuori luogo”.
Finalmente arrivò la maturità, la liberazione da quel tormento!
Dopo le superiori iniziai quasi subito ad insegnare, e ciò mi fece riflettere sull’importanza che la Cuffini aveva avuto; crebbe in me il desiderio di incontrarla per raccontarle cosa pensassi di lei, e soprattutto quanto mi avesse trasmesso il desiderio di intraprendere studi letterari. Purtroppo non la vidi se non sporadicamente, dato che andò in pensione. Di cercarla non ne avevo il coraggio, un po’ per soggezione, un po’ per timidezza. Una sera di circa un anno fa però mi convinsi: mi feci dare il numero di telefono da un mio collega, Luciano, e la chiamai. Si ricordava perfettamente di me e del fatto che insegnassi. Chiacchierammo un bel po’, anche grazie al fatto che dopo le prime battute fortunatamente mi passò l’imbarazzo iniziale, anche se avevo ancora paura di sbagliare i congiuntivi! Concordammo una cena: passai a prenderla in auto e le portai un pensierino: un mazzo di tulipani gialli con una confezione semplice e naturale, tipo juta e rafia. Ebbene: era molto emozionata, e i fiori furono per lei una grande sorpresa. Mi fece entrare in casa per accomodare i tulipani in un vaso, prima di prendere il cappotto e salire in macchina. Andammo a cenare al ristorante del collega Luciano Regaldo a San Francesco al Campo. Quella cena fu la tanto attesa occasione per dirle che le ero debitore per quanto aveva fatto per me, perché il suo esempio mi aveva spronato a studiare, a cercare di migliorarmi; fui contento di parlarle della mia esperienza universitaria, del fatto che avessi scelto proprio Materie Letterarie, dei miei esami di letteratura italiana e di storia medievale. Fu una bella serata. La riaccompagnai a casa e quando ci lasciammo eravamo commossi. Nelle settimane successive mi chiamò per ringraziarmi per l’ennesima volta dei fiori che ancora “campeggiavano” in sala da pranzo.
Avrei voluto ripetere l’esperienza, e per questo due mesi fa proposi a Luciano una nuova cena da organizzare in questo periodo. Purtroppo però non sono riuscito ad avvisare quella signora così elegante e allo stesso tempo rigorosa nei modi, ma incredibilmente cristallina nelle relazioni umane, perché ci ha lasciati.
Non sono stato un alunno modello, è vero, ma oggi ero lì a darle l’ultimo saluto.
R.I.P.

1 commento:

walterego ha detto...

con la pelle d'oca e con gli occhi lucidi termino di leggere un saluto ad una Persona che io ho sempre considerato piena.
La sinestesia me l'autorizzo da me, la maiuscola "la Cuffini" me l'avrebbe corretta, ma non è un errore, infatti di Persone così non se ne incontrano molte in un percorso di vita; e la pienezza si riferisce al suo fascino, alla sua cultura, alla sua umanità, al suo amore per la letteratura ma soprattutto per l'insegnamento, lo stesso che mi piacerebbe ritrovare nei docenti che un giorno seguiranno mio figlio
un allievo
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